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I 60 anni dei vini di Emidio Pepe raccontati dalla terza generazione. Intervista ad Elisa De Iulis Pepe

I vini di Emidio Pepe, riconosciuti tra le più grandi eccellenze del panorama vitivinicolo italiano, compiono sessant’anni. La famiglia ha scelto di celebrare l’anniversario della fondazione della cantina con un tour di degustazioni alla scoperta delle annate memorabili di Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo. Il 23 luglio scorso, a Napoli, con un pranzo speciale ospitato da Mimì alla Ferrovia, Elisa De Iulis Pepe, terza generazione, ha ripercorso i passaggi salienti di una storia che ha inizio nel lontano 1964.

All’epoca il giovane Emidio, dopo aver affiancato suo padre e, prima ancora suo nonno, dà vita ad una propria azienda, Aurora, decidendo di mettere al centro della produzione Trebbiano e Montepulciano, vini che all’epoca in Abruzzo erano considerati “da taglio” o comunque da bersi giovani.

La sua intuizione riguarda il loro potenziale di invecchiamento che avrebbe potuto restituire valore economico e di status alle produzioni. L’ingresso nella famiglia Triple “A” di Velier nel 2005 e l’arrivo di sempre più riconoscimenti a livello mondiale confermarono come la strada intrapresa fosse quella giusta.

Dal 1964 a oggi quasi nulla è cambiato nel processo di vinificazione: il Trebbiano viene ancora pigiato con i piedi e il Montepulciano diraspato a mano, entrambi vinificati e in parte affinati in vasche di cemento vetrificato, materiale che non interferisce dal punto di vista sensoriale. Non vengono eseguite chiarifiche o filtrazioni prima dell’imbottigliamento, motivo per il quale durante la fase di invecchiamento può avvenire la naturale formazione di depositi.

Il tempo è considerato uno degli attori principali in casa Pepe: a seconda della potenzialità dell’annata di cui si tende a preservare la pura e diretta espressione, solo una parte delle bottiglie è destinata al mercato mentre la restante viene conservata nella storica cantina d’invecchiamento, in attesa di essere rilasciata come “riserva” quando sarà ritenuta pronta. In quest’ultimo caso le vecchie annate prima di essere messe in commercio vengono decantate manualmente (per eliminare il deposito) e re-imbottigliate.

Mentre in cantina si tende a mantenere immutati gli antichi rituali, tra i filari che hanno età molto diversa a seconda dagli appezzamenti, arrivando a superare i sessant’anni nello storico vigneto di fronte alla cantina, si dà più spazio alla sperimentazione. A causa degli effetti del cambiamento climatico per i nuovi impianti si predilige la pergola per la capacità di proteggere i grappoli dall’insolazione e si praticano differenti tipologie di sovesci a seconda del vigneto, oltre a testare l’impiego del latte per prevenire l’attacco dell’oidio.

Oggi sono tre le generazioni che partecipano al lavoro aziendale: Emidio e Rosa, rappresentanti dell’esperienza e di una antica saggezza contadina, le figlie Daniela e Sofia, che si sono divise negli anni tra amministrazione, vendite e cantina, e le nipoti Chiara ed Elisa, ambasciatrici di Pepe nel mondo e impegnate rispettivamente in cantina e nell’ospitalità.

Abbiamo intervistato Elisa per scoprire cosa significa farsi interpreti di un’eredità così importante come quella di casa Pepe.

Elisa sei giovanissima e con un’eredità da tenere viva per un’azienda in cui c’è tanta storia, poesia e amore per il mondo del vino. Quanto è difficile diventare portavoce e interprete del pensiero di nonno Emidio?
Vivo questa dimensione con una grandissima libertà, sono molto fortunata. Nella mia famiglia le precedenti generazioni ci lasciano liberi di evolvere con la nostra idea di vino, perché anche il “far vino” attiene alla sfera personale quindi si deve sentire il cambio generazionale, certo rimanendo saldi e radicati a dei principi cui qualcuno ha dedicato la sua vita molto prima di noi. 
Sicuramente sia io che mia sorella Chiara sentiamo una grandissima responsabilità ma la viviamo lasciando spazio al nostro pensiero e alla sperimentazione, lavoriamo e studiamo tantissimo, non ci sentiamo arrivate, sappiamo c’è ancora molto da fare e approfondire, un percorso in continua evoluzione, ma lo affrontiamo con serietà e al tempo stesso con un grande senso di libertà. 

Tuo nonno è sempre stato molto radicato nella realtà di Torano Nuovo, le generazioni più giovani della famiglia hanno viaggiato, esplorato. Quanto ha inciso l’apertura alle altre culture del mondo enoico nella vostra formazione?
Forse lo scambio con gli altri produttori, viticoltori è stato l’aspetto determinante, per me ha rappresentato un momento molto formativo che mi ha insegnato a guardare le cose in una prospettiva nuova, a trovare mille soluzioni diverse a problemi per i quali magari prima ne vedevo solo una. Sia io che mia sorella siamo state fortunate a trovarci di fronte persone con tanta voglia di condivisione, che hanno voluto portarci nel proprio mondo con una apertura squisita e generosa. Sono anche queste le cose che ti formano, ti plasmano sia umanamente che nel lavoro. Le personalità nel mondo del vino che abbiamo conosciuto ci hanno dato tanto.

Cosa rappresenta oggi l’azienda e cosa vuole raccontare al suo pubblico? 
Oggi Emidio Pepe vuole rappresentare l’Abruzzo. Sentiamo fortemente la responsabilità di dare visibilità ad una regione ancora troppo poco conosciuta, cosa che può essere un bene per certi versi ma anche un male. Penso che la nostra azienda sia fortemente identitaria, e i nostri vini siano espressione della nostra tradizione familiare ma parlino soprattutto del territorio, siano ambasciatori dei luoghi.

A proposito della longevità tanto ricercata ed esaltata dal nonno Emidio abbiamo degustato una vecchissima annata di Montepulciano, datata 1983: qual è il messaggio che questa bottiglia ha portato fino a noi? 
Rappresenta l’evoluzione del pensiero di mio nonno che ha avuto la lungimiranza di investire tutto sul potenziale di invecchiamento di questo vino, la realizzazione del suo progetto e della sua poesia, un cerchio che magicamente si chiude.  

Fonte: Horeanews.it

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