La Nuova Zelanda è da decenni un esempio internazionale di sostenibilità nel settore vitivinicolo distinguendosi per le sue pratiche e il suo approccio green.
Credits: https://www.nzwine.com/en/sustainability/sustainability-report/
Oggi questo suo primato è confermato dai risultati straordinari emersi dall’ultimo rapporto relativo al programma nazionale “Sustainable Winegrowing New Zealand” (SWNZ) secondo il quale il 98% della superficie vitata sarebbe coperta da una certificazione di sostenibilità e responsabile del 90% della produzione nazionale di vino.
Un risultato che testimonia l’impegno concreto e condiviso di un’intera filiera, reso ancora più significativo nel momento in cui il programma stesso compie trent’anni. Un modello virtuoso che non ha eguali nel panorama globale e che dimostra come la sostenibilità non sia un accessorio, ma un elemento strategico per la crescita e la reputazione di un intero comparto.
Il percorso verso questo traguardo non è stato improvvisato. La spinta verso pratiche agricole più rispettose dell’ambiente aveva già preso forma alla fine degli anni Ottanta, quando i viticoltori cominciarono a condividere conoscenze e tecniche sostenibili.
Il programma SWNZ venne formalmente lanciato nel 1995, in parallelo a un’ambiziosa strategia di espansione delle esportazioni: l’obiettivo era quello di far crescere il valore delle esportazioni vinicole da 41 a 100 milioni di dollari entro il 2000 per consolidare un’identità forte per il vino neozelandese, costruita sull’innovazione scientifica, sul rispetto per l’ambiente e su una visione di lungo termine.
Il successo del Sauvignon Blanc locale sulla scena internazionale, grazie alla sua qualità distintiva, ha dato ulteriore slancio a questa visione. I leader del settore hanno compreso che per mantenere e rafforzare la reputazione del vino “made in New Zealand”, era indispensabile puntare su una produzione responsabile, credibile e trasparente.
Da qui la decisione di strutturare e ampliare il programma SWNZ, inizialmente focalizzato sull’uso responsabile di prodotti chimici in vigna, fino a coprire oggi sei ambiti fondamentali: cambiamenti climatici, gestione delle risorse idriche, tutela del suolo, gestione dei rifiuti, protezione delle piante e valorizzazione del capitale umano.
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Tra tutti questi aspetti, il cambiamento climatico è diventato il tema centrale e più pressante. Già a partire dalla stagione 2020-2021, SWNZ ha introdotto l’obbligo di rendicontazione delle emissioni Scope 1 e 2, cioè quelle direttamente generate dall’attività aziendale e quelle legate all’energia consumata.
Le informazioni raccolte hanno permesso di tracciare una “roadmap” con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, individuando cinque aree prioritarie su cui intervenire. Un piano ambizioso che ha già mostrato i suoi primi frutti, documentati nel Rapporto sulla Sostenibilità 2025, e che continua a evolversi con l’introduzione, ad esempio, di nuovi strumenti di monitoraggio come i Piani di Biosicurezza, fondamentali per prevenire l’introduzione e la diffusione di malattie o parassiti dannosi.
Nonostante le difficoltà che il settore ha affrontato negli ultimi anni, dai rincari dei costi alla crisi delle catene di fornitura, fino agli effetti delle tensioni tariffarie sul mercato statunitense, l’impegno verso la sostenibilità non ha mai perso slancio, anzi, numerose aziende vinicole hanno investito in nuove tecnologie per ridurre l’impatto ambientale: dai macchinari più efficienti in vigna, all’installazione di impianti fotovoltaici, fino all’impiego di bottiglie più leggere. Questo aspetto, spesso trascurato, è cruciale, il packaging è infatti una delle fonti principali di emissioni nel ciclo di vita del vino.
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La certificazione SWNZ è diventata anche uno strumento chiave di accesso al mercato. Dal 2003, oltre ai vigneti, anche le cantine devono essere certificate affinché un vino possa fregiarsi del marchio di sostenibilità e solo i vini certificati possono partecipare agli eventi promozionali e ai concorsi ufficiali del Paese.
Questa scelta ha spinto anche i piccoli coltivatori indipendenti ad aderire al programma, consapevoli che la sostenibilità non è più una scelta opzionale, ma un requisito per accedere ai mercati più esigenti.
Il processo di certificazione richiede impegno con i soci che devono presentare una documentazione dettagliata e superare audit indipendenti. Ciononostante la digitalizzazione ha reso più snella la raccolta dei dati e il programma SWNZ fornisce supporto continuo e formazione, oltre a strumenti per monitorare le emissioni sia a livello aziendale sia settoriale.
Uno dei quesiti più complessi riguarda l’esportazione: è davvero possibile coniugare sostenibilità e spedizione di vino dall’altra parte del mondo? Il caso neozelandese suggerisce di sì. Il trasporto incide per circa il 21% sulle emissioni totali associate al vino, ma è gestito in modo ottimizzato. La maggior parte delle esportazioni avviene via mare, un mezzo più efficiente rispetto al trasporto aereo. Inoltre, sempre più vino viene imbottigliato direttamente nel mercato di destinazione, riducendo il peso e l’impatto logistico. La Nuova Zelanda può anche contare su una rete elettrica composta per l’84% da fonti rinnovabili, un vantaggio competitivo rispetto ad altri paesi produttori.
Pur non essendo obbligatoria la certificazione SWNZ è ormai uno standard de facto per chi vuole operare con credibilità nel settore vinicolo neozelandese. Altri sistemi di certificazione, come quello biologico, coprono una parte minore della superficie vitata, ma spesso sono integrati con SWNZ per garantire la compatibilità delle uve e dei vini all’interno della filiera.
È improbabile che si arrivi al 100% di certificazione, anche per via della presenza di piccoli produttori locali, ma il livello di adozione già raggiunto colloca la Nuova Zelanda in una posizione di assoluto rilievo nel panorama vitivinicolo globale.