martedì, Settembre 17, 2024
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Intervista a Serena Gusmeri, winemaker di Vecchie Terre di Montefili in Chianti Classico

Nata a Brescia, Serena Gusmeri è un’enologa che si distingue per il suo rapporto speciale con la natura che la caratterizza sin dai primi anni di vita. Formatasi tra Verona e Milano, con una parentesi australiana, vive il suo primo impegno sul campo in Franciacorta, da lì approderà poi in Campania, con esperienze che le hanno permesso di maturare una propria visione secondo la quale ogni vigneto è unico e plasmato dall’ambiente circostante. Entrata a far parte di Vecchie Terre di Montefili in Chianti Classico nel 2015, è diventata da subito il cuore pulsante della cantina cambiandone il volto e la filosofia produttiva.
L’abbiamo intervistata per ripercorrere insieme le tappe della sua formazione e scoprire come la sua visione sposti il focus dalla cantina alle vigne e all’ecosistema in cui sono inserite.

Serena ci racconti come e quando hai deciso di intraprendere la carriera di winemaker?
In verità non sono cresciuta pensando che da grande avrei fatto l’enologa, non ho una famiglia che ha tradizione viticola, i miei hanno solo sempre avuto un orto e questo ha favorito sin da bambina un contatto molto stretto con la terra e la natura. All’età di nove anni sono entrata negli Scout per cui il desiderio di trascorrere il tempo prevalentemente all’aria aperta ha da subito marcato il mio vivere.

La scintilla che mi ha condotto al vino è scoccata per caso. Avevo appena conseguito la maturità scientifica e nell’accompagnare mia sorella a Verona a ritirare il suo diploma in lettere incappai nell’Open Day di varie facoltà. Ero orientata per Scienze Forestali, prospettiva che pensavo mi avrebbe consentito di mantenere uno stile di vita “en plain air”, ma fui scoraggiata in tal senso da chi mi faceva presente che sarei finita comunque a lavorare dietro una scrivania. Notai che Scienze Matematiche Naturali proponeva il corso in Viticoltura ed Enologia (all’epoca a Verona non c’era ancora l’Università di Agraria) anche se prevedeva un test di ingresso. 

L’alternativa suggerita dai miei era quella di provare ad entrare alla Facoltà di Economia e Commercio, ma solo l’idea di trovarmi a dover intraprendere quella strada mi spinse a passare l’intera estate dopo la maturità sui libri a studiare. 

Alla fine l’esame andò bene e la mia passione per la viticoltura crebbe anno dopo anno, tanto che dopo il triennio di Verona decisi di tentare l’ingresso alla Magistrale di Milano. Superai anche quel banco di prova e il primo anno lo trascorsi alla scuola enologica di Asti, fui impegnata subito dopo in un tirocinio in Australia per la mia tesi in un centro di ricerca per un progetto sulle note aromatiche del moscato poi, tornata a Milano, neanche il tempo di finire il secondo anno di Magistrale, fui contattata dall’azienda dove avevo svolto il mio tirocinio in Franciacorta e iniziai a lavorare pochi mesi prima di laurearmi.

Dopo la Franciacorta il percorso professionale ti ha portato prima in Campania, tra il Beneventano e l’isola di Ischia, per approdare in Chianti Classico da Montefili dove oggi sei impegnata. Cosa ti hanno lasciato i territori in cui hai lavorato?
Alla Franciacorta devo la mia identità nell’organizzazione del lavoro in cantina, mi ha sicuramente formato ad un approccio improntato all’ordine e alla pulizia, condizioni essenziali per fare lo spumante. All’enologo responsabile dell’epoca, Andrea Buccella, oggi mio grande amico, devo tantissimo. Nel 2007 ero giovanissima, avevo molto da imparare se non tutto, e lui era trentino, inquadrato, mi ha iniziato alla precisione, anche ad una “mano leggera”. 

Dalla Franciacorta sono passata a Benevento e Ischia facendo solo vino bianco. Il Sud Italia mi ha dato tanto in termini di contatto con la terra e con la vigna, relazioni umane, lavoro di squadra, empatia e senso di appartenenza

A Montefili devo invece il mio primo incontro con il mondo dei rossi, non ne avevo mai fatti, ma a chi mi chiede se mi sono “convertita” rispondo che sono nata bianchista e morirò bianchista.

Come hai affrontato il lavoro quando sei arrivata a Montefili e quanto ha inciso sul nuovo corso dell’azienda il tuo modo di intendere la viticoltura e l’enologia?
Alla base del mio lavoro c’è una visione olistica e il mio grande rispetto per la terra con la quale sono da sempre in stretto contatto. Per me è inevitabile desiderare di conoscerla e comprenderla, per cui quando nel 2015 sono arrivata a Montefili intuii subito che l’azienda aveva un grande potenziale ma veniva da una gestione precedente segnata da un certo senso di stanchezza.

Ho iniziato ad esplorare questa realtà osservandola più da vicino, 12 ettari e mezzo di vigne di cui uno e mezzo coltivato a cabernet sauvignon e 11 a sangiovese. Il mio obiettivo in prima battuta è stato analizzare le caratteristiche di ogni singola vigna e dei relativi suoli. Ovviamente le mie scelte hanno significato optare per un certo tipo di investimenti anziché per altri e devo dire che in questo la proprietà mi ha supportato fin dall’inizio. 

Ho preferito mettere da parte la certificazione biologica perché di fatto non tiene conto dello stato di salute dei terreni, e mi sono focalizzata sulla zonazione per definire le caratteristiche dei suoli su cui insistono le nostre vigne ed attivare un monitoraggio finalizzato a migliorarne lo stato di salute chiudendo il cerchio con la certificazione Diversity Ark.

Abbiamo iniziato la mappatura, scoprendo che abbiamo tre tipi di suoli diversi, e dopo i campionamenti sui terreni sono iniziati quelli su foglie, pedicelli e acini; si tratta di monitoraggi ciclici per vedere nel corso degli anni e anche a seconda della stagione come varia la presenza degli elementi come potassio, manganese e altri. 

In cantina, dove per mia scelta riduco al minimo gli interventi perché per me l’enologo ha il compito semplicemente di accompagnare il viaggio dalle uve al vino, ho deciso di portare avanti una vinificazione che consentisse di mantenere una corrispondenza tra singola vigna e vino, 6 fermentazioni separate di 6 particelle di sangiovese, cosa che in precedenza non accadeva dal momento che tutte le uve confluivano in un’unica massa per la produzione. 

In più il processo di vinificazione, in cui a differenza di chi mi ha preceduto mi limito al necessario, è uguale per tutte le particelle perché se per esempio incido sulla temperatura o sul contatto con le bucce in modo diverso è chiaro che poi si ottengono degli aspetti gustativi distinti mentre la mia idea era ed è mantenere l’uniformità del processo per esaltare le differenze tra le produzioni corrispondenti ai diversi vigneti, e poterla andare a ricostruire nel tempo nel rispetto delle distinte caratteristiche determinate dall’annata. L’unica variazione che mi concedo è nell’uso delle botti che sono di diversa misura. 

Il team al femminile di Montefili

Che risultati ha portato questa “piccola” rivoluzione?
Iniziamo col dire che lo scorso anno, nonostante l’annata sia stata difficilissima, qui a Montefili si è raccolto praticamente quasi tutto, abbiamo lasciato sul campo solo il 2% delle uve. Con una gestione agronomica focalizzata sui terreni riusciamo a mettere in atto varie tipologie di sostegno della pianta, dall’uso delle alghe contro lo stress idrico ad altri piccoli accorgimenti che possono avere effetti straordinari. Ovviamente tutto questo richiede un grande impegno.

In primavera e autunno effettuiamo campionamenti sia dei terreni che degli insetti. Lavoriamo per individuare quali e quanti fiori spontanei nascono tra i nostri filari, siamo arrivati a contarne fino a 62 specie, compresa l’orchidea selvatica, particolarmente sensibile e delicata al punto da richiedere condizioni speciali per la sua sopravvivenza. Abbiamo avuto evidenza anche di una grande integrazione e biodiversità in termini di fauna, aspetto strategico nella lotta di quelli che sono gli insetti nemici del vigneto che possono essere mangiati dai più grandi predatori, motivo che mi porta ormai da anni a ritardare gli sfalci in primavera perché più lasci l’erba più gli insetti si sentono sicuri e ritornano svolgendo il loro ruolo di sentinelle in vigna.

La conoscenza profonda dei nostri vigneti, del loro stato di salute basato su dati scientifici e controlli costanti, ci ha permesso di migliorare e rafforzare il microcosmo che vive all’interno di essi valorizzando così la biodiversità composta da insetti e piante. La costanza di questo percorso ha dimostrato quanto sia fondamentale, in tempi così sfidanti, il mantenimento di un corretto equilibrio agro-ecologico per la salute delle viti rafforzando la loro capacità di adattamento ai diversi stress ambientali.

Qual è stata la difficoltà maggiore che hai affrontato nel tuo percorso professionale?
Devo dire che sono stata molto fortunata, nel corso degli anni ho incontrato persone e contesti che hanno dato molto al mio percorso e alla mia crescita. 
Una fase in cui ho dovuto dare fondo alla capacità di adattamento è stata quella della gravidanza e dei primi mesi di vita dei miei bambini. Se sei un Imprenditore Agricolo Forestale (IAP) e decidi di congelare la tua posizione andando in maternità sei obbligato a nominare un sostituto per sei mesi e io non avrei mai potuto immaginare di affidare le mie vigne ad un altro professionista tra l’altro a ridosso della vendemmia, il mio legame con la terra e con il progetto era ed è troppo forte. Così ho lavorato fino ad 8 mesi di gravidanza, non ho fatto maternità e ho seguito la vendemmia con i miei figli piccoli. È filato tutto liscio perchè Montefili è stata accogliente ed ha rappresentato la mia seconda casa grazie anche alla cura e alla presenza dei colleghi che ormai considero come una grande famiglia, ma ho dovuto comunque fare i conti con il nostro welfare che, inutile dirlo, in Italia, in particolare per le donne, è fermo all’età della pietra.

Vecchie Terre di Montefili
Via S. Cresci, 45, 
Greve in Chianti FI
Telefono: 055 853739

Vecchie Terre di Montefili si colloca sulla cima della collina panoramica Monte Fili, di origini antichissime e da cui prende il nome. Si estende per una superficie vitata di 12,5 ettari nel comune di Greve in Chianti, al confine delle UGA (Unità Geografica Aggiuntiva) del Chianti Classico di Panzano e Montefioralle e, da oltre 20 anni, fa parte del primo distretto biologico (Panzano).
In questo luogo dove la storia, la natura e la tradizione enologica si intrecciano da sempre, è iniziata l’avventura straordinaria che ha unito il destino di tre amici statunitensi appassionati dell’Italia, Nicola Marzovilla, Frank Bynum e Tom Peck Jr., e quello dell’esperta enologa Serena Gusmeri. Dalla loro passione per il microcosmo di Montefili, i suoi panorami, i suoi vigneti e dal loro rispetto per la natura, nascono prodotti di eccellenza, premiati e riconosciuti a livello internazionale, che raccontano del cuore del Chianti Classico e del territorio toscano. 
Risale all’anno 1975 il primo vigneto di Sangiovese nominato “Anfiteatro”, al quale seguono ulteriori impianti grazie alla nuova proprietà e ad un approccio attento, innovativo e sostenibile alla produzione di circa 40mila bottiglie guidato dalla bresciana Serena Gusmeri, enologa e agronoma, a capo dell’azienda.

Fonte: Horecanews.it

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