giovedì, Dicembre 12, 2024
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Cresce la distanza tra i giovani e il mondo del vino. Come colmare il gap?

Quando si parla di futuro del mondo del vino inevitabilmente l’attenzione cade sui giovani e sul loro rapporto con il nettare di Bacco, sempre più improntato ad una certa distanza in termini di linguaggi, prospettive, sistema di credenze e valori, un gap riscontrato sul fronte dei consumi ma anche nella dimensione lavorativa che li vede impegnati in prima linea nell’Horeca.

Gli ultimi dati diffusi dall’International Wine & Spirits Research (IWSR) fanno luce su un mercato e su preferenze in costante evoluzione: in Giappone il 63% di consumatori di età compresa tra i 18 e 26 anni affermerebbe di non aver bevuto alcol negli ultimi sei mesi, negli Stati Uniti questa comunità rappresenterebbe il 54%, in Canada il 44%. Il trend coinvolgerebbe anche l’Europa.

Di fatto i rappresentanti della cosiddetta Gen Z prediligerebbero bevande analcoliche o a basso contenuto di alcol e sceglierebbero in base alle occasioni, che possono variare nel corso della giornata, stimolati da prodotti con un gusto sempre più piacevole grazie a tecniche di realizzazione sofisticate e performanti, spesso arricchiti con vitamine e adattogeni (come nel caso delle bevande energetiche) per andare incontro a diverse necessità, e in realtà quindi più che allontanarsi dal vino non vi si avvicinerebbero avendo molte alternative a disposizione.

Cresce dunque la comunità dei “sober” e la Mixology è il campo in cui trovano più spazio, come testimonia il successo dello Sleepy Girl Mocktail, il drink sostituto della camomilla divenuto virale in America attraverso il social TikTok, motivo per il quale, secondo i dati IWSR, la quota di mercato dei no alcol (che ha toccato gli 11 miliardi di dollari nel 2022) dovrebbe crescere per arrivare al 4% nel 2027 andando ad erodere gli altri segmenti.

Le cause del cambiamento sarebbero da ricondursi al carattere delle giovani generazioni, senz’altro più esigenti, sensibili a temi come la sostenibilità e l’inclusione e con un approccio all’alimentazione più salutare che li avrebbe trovati anche più reattivi rispetto alle campagne portate avanti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in tema di rischi connessi al consumo di alcolici. Non a caso tra i giovani della Gen Z chi beve consumerebbe circa il 20% di alcol pro capite in meno rispetto ai Millenial alla loro età.

Ad incidere sulla presa di distanza sarebbero anche aspetti di natura economica, in alcuni casi anche le lacune in termini di conoscenza o l’eccesso di complessità nella comunicazione da parte del mondo enoico, con carte dei vini e note di degustazione poco chiare e quindi non inclusive, barriere che andrebbero abbattute per non limitare l’accesso a quella dimensione piena dell’esperienza ormai centro delle abitudini sociali e driver principale nelle scelte di acquisto.

Sul fronte dei giovani impegnati professionalmente e in prima linea nel mondo Horeca le sfide non sono da meno perché il disallineamento in termini valoriali e di approccio tra Generazione Z e universo enoico restano in piedi ed è necessario ricorrere a soluzioni mirate. Ma qualcosa per colmare il gap si può e si deve fare, come dimostra il caso del programma di formazione di Berkmann Wine Cellars, importatore di Vino del Regno Unito che ha raccontato in un’intervista rilasciata a “The Drink Business” di aver scelto di orientare le sue attività di training per le giovani leve secondo uno schema più coerente rispetto alla loro visione improntandole da un lato alla tecnologia dall’altro alla centralità delle emozioni.

L’aspetto tech è stato soddisfatto introducendo una nuova piattaforma di e-learning e una app caratterizzata da elementi di gamification che riconoscono i comportamenti di un pubblico più giovane e digital-first, quello legato alla sfera emotiva è stato invece approcciato grazie al supporto di uno psicologo, una scienziata comportamentale che ha riconosciuto nel processo formativo la priorità da parte dei giovani di poter vivere una esperienza lavorativa più significativa, nella consapevolezza di non essere disposti a lavorare fino al punto da rinunciare al proprio benessere, dando dunque importanza all’equilibrio tra professione e vita privata.

Per tradurre tutto ciò in un programma la formazione è stata costruita con uno specifico obiettivo: assicurarsi che fosse percepita per loro e rappresentativa del loro modo di sentire. Per questo motivo ci si è spinti a richiedere al personale di co-creare il proprio linguaggio relativo al vino con la guida dei formatori, e si è scelto di mettere al centro del training l’empatia con i clienti come con i colleghi, facendo si che i ragazzi riflettessero sulle proprie esperienze, ad esempio cosa rende una serata fuori speciale, per portarle poi nell’ambito professionale.

Anche la semplificazione e l’abbassamento del livello di complessità dei contenuti della piattaforma di trainig è stata una scelta orientata ad accrescere l’inclusività, rispetto a profili con difficoltà nell’apprendimento o provenienti da uno status economico inferiore, creando uno spazio psicologicamente sicuro all’interno dell’ambiente di formazione.

“Andare incontro” sarebbe dunque il mantra sia sul lato dei consumi che del coinvolgimento sul fronte professionale della Gen Z: nuovi linguaggi, inclusività, coinvolgimento ed empatia le chiavi di accesso da attivare per entrare in contatto e mantenere vivo il dialogo nel tempo, una dimensione su cui c’è ancora molto da fare.

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