Il packaging di vino e distillati sta attraversando una fase di profonda ridefinizione, determinata dall’intreccio di fattori normativi, industriali, logistici e dall’evoluzione delle dinamiche di consumo. Negli ultimi anni questo elemento è diventato il terreno su cui si riflettono con maggiore evidenza i cambiamenti in atto nel settore, non tanto per singole innovazioni quanto per l’accumularsi di pressioni che ne stanno progressivamente modificando funzione e perimetro. Guardando al 2026, emerge una traiettoria chiara: un packaging sempre meno neutro e sempre più condizionato da vincoli esterni, chiamato ad adattarsi a un contesto in rapida accelerazione.
Il cambiamento delle abitudini di consumo rappresenta uno dei principali motori di questa trasformazione. Chi acquista vino e distillati lo fa con minore frequenza, dimostra una maggiore sensibilità al prezzo e manifesta aspettative crescenti in termini di trasparenza, leggibilità e coerenza tra prodotto e posizionamento. A fronte di una maggiore alfabetizzazione su ingredienti, formati, valori nutrizionali e dinamiche di prezzo, diminuisce la tolleranza verso soluzioni percepite come opache o incoerenti. In questo scenario, il packaging è chiamato non tanto a valorizzare il prodotto in senso estetico, quanto a renderne comprensibile il valore nel momento della scelta, facilitando il confronto e riducendo l’attrito decisionale.
Sul piano normativo, il percorso verso una maggiore trasparenza informativa appare già avviato. L’introduzione dell’etichettatura digitale e l’uso sistemico di QR code per ingredienti e valori nutrizionali stanno incidendo in modo diretto sulla progettazione delle etichette. La differenza non risiede più nella presenza dello strumento, ma nella sua integrazione all’interno di un’architettura informativa ordinata e interoperabile, spesso basata su standard. Nel vino questo processo risulta più avanzato per effetto dei vincoli europei, mentre negli spirits si manifesta in modo più selettivo, spesso in relazione a esigenze di export o a strategie di trasparenza volontaria. In entrambi i casi, si osserva una tendenza verso etichette fisiche più essenziali e gerarchizzate, affiancate da livelli informativi digitali consultabili su richiesta.
Le pressioni sui costi di produzione e sulla logistica stanno spingendo le aziende a considerare il packaging come una variabile industriale a tutti gli effetti. Il lightweighting del vetro, l’aumento del contenuto riciclato e la sperimentazione di formati alternativi (rPET, flat bottle, soluzioni paper-based) indicano una ricerca di efficienza che non riguarda esclusivamente la sostenibilità ambientale, ma anche l’ottimizzazione dei trasporti, la riduzione delle rotture e la gestione dei flussi. Nei distillati premium, i tentativi di alleggerimento mirano a preservare la percezione di valore; nei segmenti entry e mid, soprattutto nel retail moderno e nei contesti ad alta rotazione, emergono soluzioni in cui sostenibilità e razionalità logistica tendono a coincidere. Non si tratta ancora di uno standard condiviso, ma di segnali convergenti che delineano una possibile direzione evolutiva.
Anche il tema dei formati contribuisce a ridefinire il ruolo del packaging. La maggiore consapevolezza del consumatore riduce l’efficacia delle riduzioni silenziose di quantità (shrinkflation) e apre la strada a un approccio più esplicito nella relazione tra formato, prezzo e valore. Nel vino e negli spirits questo potrebbe tradursi in formati più piccoli o differenziati per occasione di consumo, sostenuti da scelte progettuali in grado di rendere il prezzo più leggibile attraverso qualità percepita, materiali, finiture e chiarezza informativa. Più che una risposta univoca, si osserva una fase di sperimentazione che coinvolge tanto il prodotto quanto la sua presentazione.
Un ulteriore asse di sviluppo riguarda l’accessibilità, intesa come usabilità complessiva del packaging. Tipografie leggibili, contrasti cromatici adeguati, organizzazione chiara delle informazioni ed ergonomia delle chiusure stanno progressivamente entrando nei brief di sviluppo non come elementi correttivi, ma come fattori funzionali alla scelta e all’esperienza d’uso. Nel canale HORECA, in particolare, questi aspetti incidono sulla velocità di servizio, sulla gestione del prodotto e sulla riduzione degli errori operativi, suggerendo un allineamento crescente tra esigenze del punto vendita e progettazione del packaging.
La sostenibilità, infine, sembra avviarsi verso una fase meno dichiarativa e più incorporata. Piuttosto che affidarsi a claim generici, molte aziende intervengono su peso, materiali, componentistica adottando soluzioni misurabili e comparabili. Questo approccio, ancora disomogeneo, potrebbe rafforzarsi ulteriormente in presenza di nuovi vincoli regolatori e di una maggiore attenzione dei retailer ai criteri ambientali.
Più che un approdo, il 2026 sembra destinato a segnare un passaggio, con il packaging di vino e spirits destinato ad abbandonare il ruolo di elemento separato per collocarsi sempre più al centro delle tensioni del sistema: tra regole e mercato, tra filiera e consumo, tra costo e valore. È in questo spazio che le aziende saranno chiamate a misurare la solidità delle proprie scelte progettuali, non più in termini di immagine, ma di capacità di tenuta nel tempo.

