Quando LeBron James a 40 anni firma un contratto da 52,6 milioni di dollari con i Los Angeles Lakers, dimostra che l’età può essere solo un numero. Il segreto del miglior marcatore di tutti i tempi dell’NBA? Un approccio scientifico al benessere che include disciplina ferrea, alimentazione studiata nei minimi dettagli e, sorprendentemente, un bicchiere di vino rosso quotidiano.
Il campione è il volto di un nuovo approccio al benessere, il biohacking, una filosofia di vita che punta a ottimizzare le prestazioni del corpo umano attraverso la scienza. Ma qual è il vero ruolo del vino in questo approccio rivoluzionario alla longevità?
Il biohacking: quando la scienza incontra la performance
Il termine “biohacking” descrive la pratica di ottimizzare il proprio organismo combinando nutrizione personalizzata, monitoraggio dei parametri vitali, tecniche di recupero avanzate e strategie di allenamento mirate. L’obiettivo non è semplicemente resistere al tempo, ma riprogrammarlo per mantenere prestazioni elevate anche con l’avanzare degli anni.
In questo contesto, il vino assume un ruolo particolare: non come elisir miracoloso, ma come elemento culturale e sociale che, gestito consapevolmente, può contribuire al benessere complessivo della persona.
La verità scientifica sul resveratrolo
Manuel Salvadori, biohacker e biologo nutrizionista, demolisce senza mezzi termini i luoghi comuni sul vino come fonte di giovinezza: «Da anni circola il mito del vino rosso come fonte miracolosa di resveratrolo. Gli studi ci sono: in laboratorio questa molecola ha mostrato proprietà anti-aging e cardioprotettive, agendo sui geni SIRT1 e migliorando la funzione endoteliale. Ma c’è un problema: le quantità presenti in un calice sono ridicole. In media, tra 0,2 e 2 mg per bicchiere. Negli esperimenti sui topi, invece, servono centinaia di milligrammi al giorno. Tradotto: per replicare gli effetti dovresti scolarti 200-300 bottiglie quotidianamente. Altro che centenario, diventeresti un caso clinico da Guinness World Record».
L’esperto è lapidario: «Il resveratrolo è interessante, ma il vino non è la tua farmacia. Dire che bevi vino per il resveratrolo è come dire che mangi patatine per l’olio di girasole: tecnicamente vero, praticamente ridicolo».
Le zone blu e il potere della socialità
Eppure nelle zone blu del mondo – Sardegna, Ikaria, Okinawa, Loma Linda, Nicoya – dove si registra la più alta concentrazione di centenari, il consumo moderato di vino fa parte delle tradizioni locali. Come si spiega questo apparente paradosso?
«La chiave non è il calice in sé, ma il contesto», precisa Salvadori. «In Sardegna si beve Cannonau, a Ikaria il vino rosso accompagna i pasti. Ma la differenza la fa la socialità. Bere da soli davanti alla TV è un acceleratore di malinconia, non di telomeri. Bere in compagnia, invece, è un rituale che riduce lo stress, stimola la dopamina, rafforza i legami. È il classico esempio di nutriente invisibile: non lo trovi in etichetta, ma incide sulla longevità quanto i polifenoli».
Il vino diventa così veicolo di connessione umana: «Il bicchiere di vino a cena con gli amici non ti dà solo resveratrolo, ma anche ossitocina, connessione e appartenenza. Chi lo nega non ha capito che il vero anti-aging non è nel bicchiere, ma nelle persone attorno al tavolo».
La gestione consapevole del rischio
Salvadori non nasconde la realtà scientifica più scomoda: «L’alcol è tossico. Punto. Lo dicono i dati dell’OMS: aumenta il rischio di tumori, soprattutto esofago, fegato e mammella, e di malattie neurodegenerative. Non esistono dosi sicure, solo dosi meno rischiose».
Come conciliare allora il piacere del vino con un approccio consapevole alla salute? «Si può ridurre il danno. Primo: bere durante i pasti, perché il cibo rallenta l’assorbimento dell’alcol e riduce il picco ematico. Secondo: scegliere vini di qualità, meglio se biologici e con meno solfiti. Terzo: abbinarli a cibi ricchi di polifenoli, verdure, frutta, olio extravergine, che bilanciano gli effetti ossidativi. Infine, integrare con sostanze protettive come omega-3 e N-acetilcisteina, che in alcuni studi preliminari mostrano un’azione protettiva sul fegato».
Il paradosso culturale del calice
La conclusione di Salvadori racchiude tutta la complessità del rapporto tra vino e benessere: «Il vino non è un superfood. È un “veleno accettabile” che, se dosato e inserito nel contesto giusto, può persino comportarsi meglio di certi integratori venduti come panacee. È un paradosso culturale: troppo povero di resveratrolo per essere terapeutico, troppo ricco di convivialità per essere davvero dannoso. Alla fine, il vero elisir non è nel calice, ma in chi ti siede accanto».
L’approccio del biohacker al vino
Nel mondo del biohacking, il vino trova quindi la sua collocazione non come supplemento nutrizionale, ma come rituale sociale consapevole. La chiave sta nell’approccio: qualità, contesto conviviale, abbinamenti studiati e consapevolezza dei rischi.
Come dimostra l’esempio di LeBron James, la longevità sportiva e personale nasce da un equilibrio complesso di fattori, dove anche il bicchiere di vino quotidiano può trovare il suo posto, purché inserito in una strategia più ampia di benessere che privilegi sempre la scienza, la moderazione e, soprattutto, la qualità delle relazioni umane.
Manuel Salvadori è un biohacker, nutrizionista e divulgatore scientifico riconosciuto per il suo approccio innovativo all’ottimizzazione della performance umana. Presidente della Scuola Italiana di Medicina Funzionale, unisce ricerca scientifica, nutrizione avanzata e medicina preventiva per promuovere benessere, longevità e alta performance. Con il suo podcast LifeX – primo tra i podcast per divulgazione sul biohacking e la medicina in Italia – e i contenuti digitali, diffonde conoscenza evidence-based contrastando miti e disinformazione nel settore salute e fitness.
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