“Sui dealcolati oggi il settore è fermo con le quattro frecce: dobbiamo risolvere gli snodi fiscali e normativi e dobbiamo iniziare a produrre”. Così il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, ha denunciato a Vinitaly l’ennesima impasse legislativa che impedisce alla filiera di produrre in Italia e di fatto rende inattuabile il decreto firmato lo scorso dicembre.
“La produzione di vini dealcolati in Italia continua ad accumulare ritardo – ha spiegato il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti –. Se il ministero dell’Agricoltura non interviene sulle disposizioni fiscali previste dal ministero dell’Economia e delle Finanze le imprese dovranno attendere fino al 2026 prima di poter partire con la produzione. Serve una norma ponte che consenta di definire il quadro fiscale per la produzione in questa fase transitoria – ha proseguito –. È impensabile che aziende che hanno investito in macchinari per la dealcolazione rimangano bloccate per un vuoto normativo in cui la mano destra della pubblica amministrazione non sa cosa fa la sinistra”.
Tra le criticità da risolvere anche la norma relativa alla promiscuità degli spazi, che prevede l’obbligo di separazione degli spazi e quello relativo alla possibilità di produrre spumanti dealcolati gassificati. “Su entrambe le questioni siamo in dialogo con il Ministero – ha concluso Castelletti –, dovrebbero risolversi con una modifica al decreto in tempi rapidi”.
La filiera denuncia: “così si reprime un’economia e un’industria”
“Un mercato depresso dall’incertezza”: è questo l’allarme lanciato dai principali produttori italiani di vini No-Lo e dai fornitori di tecnologie e impianti per la dealcolazione, intervenuti a Vinitaly durante il convegno “Tecnologia 0.0: produzione e innovazione a confronto”, organizzato dall’Unione Italiana Vini (UIV) in collaborazione con Veronafiere. A ostacolare lo sviluppo del settore non è solo l’ambiguità normativa legata all’obbligo di separazione degli spazi produttivi — un nodo che dovrebbe essere sciolto a breve — ma soprattutto l’incertezza derivante dal pasticcio normativo che lascia il comparto in balia dell’incertezza sull’applicazione delle accise in attesa del decreto interministeriale, previsto a partire dal 1° gennaio 2026.
“Stiamo parlando dell’atterraggio su Marte mentre in Italia non abbiamo ancora il binocolo per vedere la luna”, ha dichiarato Martin Foradori, ceo di Tenuta J. Hofstätter, una posizione condivisa non solo dagli altri produttori intervenuti alla tavola rotonda, ma anche dai fornitori di macchinari e tecnologie per il processo di dealcolazione. “In Italia c’è molto fermento ma abbiamo solo iniziato a vendere impianti – ha commentato il direttore generale di VasonGroup, Albano Vason -, all’estero è più facile. Stiamo lavorando molto bene in Spagna e ora si è aperto il mercato anche in Argentina”. “Ci sono sicuramente aziende italiane interessate, ma stiamo aspettando che sia pronta la normativa”, ha confermato Massimo Pivetta, sales director Wine di Omnia Technologies. Per Pierluigi Guarise, ceo di Collis Wine Group: “Ci viene detto di andare per tentativi e questo comporta un rischio anche reputazionale, ci crederemo veramente nel momento in cui verrà fatta chiarezza su tutta la normativa, dalla produzione all’etichettatura”. Non mancano le conseguenze sul fronte dei costi: “Andare a dealcolare all’estero mina la nostra competitività sul mercato”, ha dichiarato Claudio Galosi del Gruppo Argea.
Rimane all’estero la produzione anche di Mionetto, che, come dichiarato dal consigliere delegato e direttore tecnico, Alessio Del Savio, sta lavorando con vini a base Glera per “accorciare sempre di più le distanze con il Prosecco, strizzando l’occhio alla denominazione”. E proprio sulla qualità del prodotto vino si gioca la partita che vedrà i No-Lo distanziarsi dal segmento dei drink a bassa gradazione. “Dobbiamo uscire dal mondo delle bevande dove siamo relegati in una competizione a perdere con le multinazionali – ha detto Fedele Angelillo, ceo di Mack & Schuhle Italia SpA -. Per fare questo dobbiamo continuare ad insistere sulla qualità, anche a partire dalla vigna”. “Sul fronte della qualità abbiamo già fatto passi da gigante – ha concluso Marzia Varvaglione, presidente del Ceev e di Agivi -. I vini No-Lo sono proposte non solo complementari ma che ci consentono di differenziare il rischio in un contesto estremamente volatile dei consumi. Ora, come produttori e imprenditori, dobbiamo capire come tutelare questi vini e come inquadrarli in modo che siano facilmente e chiaramente riconoscibili anche per i consumatori”.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly, basata su dati IWSR e presentata a Vinitaly nel corso del convegno “Zero alcohol e attese del mercato”, organizzato in collaborazione con Veronafiere, il mercato mondiale dei vini No-Lo (no e low alcohol) vale attualmente 2,4 miliardi di dollari e si prevede possa raggiungere i 3,3 miliardi entro il 2028, con un tasso di crescita annuo composto (CAGR 2024-2028) dell’8% in valore e del 7% in volume.
In netto contrasto con questo trend internazionale, il mercato italiano dei vini a basso o nullo contenuto alcolico rappresenta oggi lo 0,1% delle vendite complessive di vino, pari a un valore di circa 3,3 milioni di dollari. Tuttavia, le stime indicano un potenziale di crescita significativo: secondo IWSR, il comparto potrebbe arrivare a 15 milioni di dollari entro i prossimi quattro anni, con un CAGR atteso del 47,1%.
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