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Fantini Wines: strategie di successo nel mercato del vino 2024

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Valentino Sciotti, fondatore e AD di Fantini Wines

In uno scenario congiunturale che per il mondo del vino italiano è stato e rimane difficile – lo sarà fino al 2025, questa la previsione – Fantini Wines ha fatto scelte precise: consolidare la propria identità forte; mantenere un eccellente rapporto tra prezzo e qualità senza cedere di un millimetro su questo secondo fattore; allargare ancora i propri mercati d’esportazione – ormai siamo a più di 90 Paesi in tutto il mondo – in modo da poter meglio ammortizzare le crisi localizzate; riaffermare la propria vocazione all’on trade, quindi il canale Horeca, dopo essersi ben posizionata tatticamente anche sull’off trade durante i lockdown; investire nello sviluppo e nella ricerca, in modo da continuare a catturare i trend mutevoli dei consumatori internazionali. E poi, dice il fondatore e amministratore delegato Valentino Sciotti, operare per «riportare le marginalità ai livelli che ci competono». Sforzo subito coronato da successo, tanto che il gruppo ha chiuso il 2023 con un margine operativo lordo in piccola ma significativa crescita, dal 21,65 al 21,92%.

È dunque un quadro con molte luci e poche ombre quello che offre di sé, l’azienda vitivinicola fondata a Ortona nel 1994 e diventata leader tra quelle esportatrici nel Sud Italia, grazie a un’attenta politica votata alla più alta ricerca qualitativa e di marketing. A voler individuare la decisione strategica grazie alla quale Fantini ha saputo far fronte a questi mesi complicati, di certo bisogna risalire ai primi mesi dello scorso anno: «Erano momenti molto difficili per tutto il comparto. A un certo punto è stato necessario porsi una domanda chiave: meglio difendere il fatturato o le marginalità? Non c’era spazio per fare l’una e l’altra cosa insieme, con l’inflazione galoppante e una struttura commerciale da tempo sotto stress. Inizialmente abbiamo optato per mantenere il livello precedente del fatturato…». Poi, la correzione di tiro: meglio lavorare duramente per riportare le marginalità ai livelli plausibili, «così siamo arrivati a fine anno con un fatturato sceso di poco (-4,5% a 87,5 milioni di euro), ma le marginalità sono risalite e abbiamo ottenuto quello che volevamo», un’Ebitda al 21,92% «evitando di fare tagli, sia sul commerciale che sulle spese di marketing. Anzi, scommettendo e investendo sul futuro. Ora possiamo dire che la cosa ci sta ripagando».

ON TRADE E OFF TRADE – Nel 2020, al deflagrare del Covid, Fantini riuscì nonostante tutto a crescere grazie a un celere riposizionamento sul mercato, virando verso i canali off trade, quindi verso la grande distribuzione, che nel 2021 era arrivata a rappresentare addirittura il 65-68% del fatturato. Oggi la flessibilità del gruppo torna utile, «stiamo operando in modo diametralmente opposto rispetto a quel periodo. Appena abbiamo constatato che le cose stavano andando in una direzione non desiderata, ci siamo ricordati che noi non siamo mai stati i re dell’off trade, mentre siamo stati sempre fortissimi nell’on trade. E abbiamo così deciso di riconquistare lì i nostri spazi». Una nuova riconversione che, benché coronata da successo, non è stata per nulla facile, «un solo cliente della grande distribuzione sviluppa volumi alti per conseguire i quali invece, nell’Horeca, serve una numerica di ristoranti importante, con personale dedicato e continue azioni a supporto». Ma occorreva riaffermare l’identità Fantini. Missione compiuta.

IDENTITÀ FANTINI – A questo proposito, ecco un’altra scelta strategica. «Abbiamo assistito in questi ultimi mesi a un fenomeno tanto diffuso quanto paradossale e anomalo: in una fase di forte inflazione e con aumento costante dei costi di produzione, tante aziende – evidentemente prese dal panico – hanno abbassato i prezzi dei loro vini», spinte anche dallo spauracchio di giacenze di magazzino troppo alte («Sono gli stessi costi del denaro a incidere in questo senso, perché mantenere un magazzino è diventato sempre più caro. Noi stessi abbiamo dovuto affrontare oneri finanziari aggiuntivi pari a circa due milioni di euro»). Queste politiche emergenziali si sono rivelate sbagliate, dice Sciotti. Non si è potuto e voluto ribaltare totalmente i rincari sul consumatore, questo ha assottigliato le marginalità. Ma Fantini le ha puntellate meglio di tanti altri, perché si è collocata da tempo nella fascia medio-alta del mercato. Come dire: di nuovo, l’identità Fantini si è risultata la carta vincente. Non solo: anche la vocazione all’export del gruppo vinicolo abruzzese, che vende oltrefrontiera oltre il 96% della propria produzione, è stata d’aiuto: «Abbiamo accresciuto ulteriormente il numero di Paesi nei quali siamo presenti, sfondando quota 90 in tutto il mondo. Questo significa poter mettere in campo una capillarità distributiva in grado di attutire anche le crisi di mercato localizzate, che siano dovute a ragioni politiche o economico-finanziarie». D’altra parte Fantini da sempre si connota per l’ottimo rapporto qualità/prezzo, «è quello che abbiamo difeso, più che il prezzo in sé. Non avrebbe avuto senso limare il prezzo facendo scendere la qualità».

MERCATI SU E MERCATI GIÙ – Si diceva che Fantini Wines esporta in oltre 90 Paesi al mondo. Alcuni mercati sono problematici, di questi tempi: «Nel 2023 ha sofferto certamente il quadro statunitense, lì si assiste a un calo generalizzato dell’importazione di vino che fa pensare a uno spostamento di gusto dei consumatori». E poi ha penato anche l’Asia, come effetto rimbalzo dopo la grandissima crescita degli anni precedenti. Ora è la stessa Asia a riprendersi bene – almeno in certe aree – e poi c’è la garanzia della Svizzera, che ha retto alla grande dal punto di vista economico, «è cresciuta anche in momenti difficili come questo, rappresenta un target medio-alto, ossia non è Paese da “primo prezzo”, che è quello che ha presentato le maggiori difficoltà».

LE PROSPETTIVE E I GIOVANI – Nel 2024, malgrado una partenza buona con crescita apprezzabile, non ci si aspetta un sentiero in discesa: «Credo che anche questo sarà un anno molto difficile. Per vedere un chiaro segno di ripresa, generalizzato, dobbiamo guardare al 2025, tenendo conto che ci sarà da fare un aggiustamento sullo stile dei vini», lo si è già accennato parlando del mercato Usa. Perché un nodo sta venendo al pettine: i giovani si sono un poco allontanati dal prodotto-vino, «è anche colpa nostra, li abbiamo confusi con lo storytelling dei vini naturali e delle fermentazioni spontanee. Che piace a tutti (lo storytelling), poi però loro bevono altre cose!». Come provare a invertire questa tendenza? «Sapendo intercettare le tendenze di stile. È una delle nostre caratteristiche principali». Dunque, come si riconquistano i giovani? «L’uva piace a tutti, il vino no. Tutto ciò che perdiamo nel processo di trasformazione dall’uva al vino deve essere visto come un errore. L’omologazione è un falso problema: se assaggiamo due acini d’uva, dello stesso vitigno, a cinque giorni di distanza, le differenze di percezione saranno molto molto molto molto minori rispetto al vino che se ne trarrebbe. Vuol dire che in fase di trasformazione sbagliamo qualcosa, ora siamo chiamati a recuperare questo gap. Dobbiamo tutti renderci conto che, se si cerca la naturalezza, questa sta in un vino fruttato, poiché il vino è prodotto con la frutta, se non sa di frutta è un’anomalia. Un vero vino “naturale”, per come lo concepisco io, assomiglia all’acino di partenza, quanto a gusto. E regala piacevolezza».

RICERCA & SVILUPPO – Comprendere queste tendenze significa porre le basi per la crescita futura. Così Fantini Wines non ha mai smesso di investire nel proprio comparto di ricerca e sviluppo, anche nei momenti più difficili. «Quattro anni fa abbiamo comprato 60 microvinificatori da 30 o 50 litri, proprio per fare continua sperimentazione. Vuol dire ogni anno portare avanti fino a 100 prove di vinificazione diverse: è qualcosa di meraviglioso, quello che facciamo noi in 365 giorni altre cantine lo ottengono in 30 anni». L’attenzione ai trend internazionali ha già ben posizionato l’azienda vitivinicola abruzzese: «Anche se noi vantiamo un focus sul Meridione d’Italia, abbiamo lavorato molto e bene su bianchi e rosati, che pure sono sempre stati un punto debole di tale area. Così, adesso che hanno sopravanzato i rossi quanto a consumi, 54% contro 46%, siamo stati premiati sul mercato per i nostri sforzi e abbiamo potuto prendere vantaggio dall’affermazione di queste due categorie di prodotto. Una conferma che le capacità di intercettare i trend è fondamentale».

2024 E 2025 – Secondo Valentino Sciotti, i fattori di difficoltà che angustiavano il mondo del vino nel 2023 continueranno a pesare, quasi immutati, anche nell’anno in corso. «Non è cambiato nulla, il costo del denaro è lo stesso… C’è un’unica variazione positiva: tutti hanno smaltito un po’ d’inventario, quindi saremo in grado di riconoscere marginalità più interessanti al vitivinicoltore, stimolandolo a lavorare meglio. Ma sui fondamentali il quadro economico è immutato: l’inflazione è un po’ scesa, è vero ed è un bene. Ma tanto il potere d’acquisto perduto non è stato compensato».

Fonte: Horecanews.it

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