La crisi del mondo del vino non sembra avere tregua. Calo dei consumi, contrazione delle esportazioni, inflazione, instabilità geopolitica, effetti del cambiamento climatico sono solo alcuni degli elementi di criticità che continuano senza sosta a rendere gli scenari altamente variabili e pieni di incognite con le aziende vitivinicole in costante affanno.
Come se tutto ciò non bastasse a turbare gli umori e a destare tensioni si aggiunge lo spauracchio dei dazi, la cui revisione al rialzo, ed è questa la notizia più recente, non sarebbe paventata esclusivamente dal neoeletto Presidente degli Stati Uniti ma dalla stessa Unione Europea.
Delle mire di Donald Trump si aveva già notizia dai tempi della campagna elettorale per le presidenziali, quando l’allora candidato cavalcava l’onda del malcontento promettendo il ritorno alla stretta sulle importazioni, gettando i produttori del Vecchio Continente in un profondo sconforto da déjà vu.
Il contraccolpo economico dei dazi del 25% applicati ai liquori italiani dal tycoon americano nel periodo compreso tra ottobre 2019 e inizio 2021 e successivamente sospesi da Biden, ebbe infatti conseguenze molto pesanti sull’export nostrano, interessando un importo di quasi 163 milioni di dollari, con un impatto per singola bottiglia stimato tra 2 e 3 dollari.
Se Trump dovesse nuovamente imboccare la strada del neo protezionismo per sostenere l’economia americana le cose non si metterebbero meglio: si stima che oggi il vino italiano rischierebbe un danno da 330 milioni di euro, una perdita che equivarrebbe a un taglio del 17% sul giro d’affari negli Usa stimato in 1,9 miliardi.
Quelli del presidente della Casa Bianca sarebbero però dazi più che annunciati a differenza degli altri nemmeno troppo velatamente paventati la scorsa settimana dai vertici dell’Unione Europea con un nuovo documento di lavoro adottato dalla commissione UE dal titolo “Review of Europe’s Beating Cancer Plan” e pubblicato il 5 febbraio scorso.
Si tratterebbe di una rielaborazione di quel piano Beca che tre anni fa avviò la crociata contro il vino, in particolare sollecitando l’introduzione di etichette che informassero sui rischi connessi al consumo di alcolici. Gli health warning, temporaneamente sospesi, ricomparirebbero tra le priorità e secondo le ultime osservazioni sarebbero da affiancare con altre misure volte a dare un’ulteriore stretta a sostegno di una politica a tutela della salute dei cittadini dell’UE.
Tra i nuovi obiettivi il primo sarebbe quello di inasprire la tassazione degli alcolici, vino incluso, mediante una modifica delle disposizioni della direttiva del Consiglio 92/84/CEE, oggi in vigore, relative alle aliquote fiscali sugli alcolici, che fissano una quota minima di accisa pari a zero euro per il vino e altre bevande fermentate.
A ciò si aggiungerebbe la limitazione delle vendite transfrontaliere, l’introduzione di avvertenze sanitarie su tutte le bevande alcoliche, la regolamentazione della loro pubblicità e l’inasprimento delle restrizioni già previste dalla direttiva sui servizi di media audiovisivi (AVMSD) orientata ad assicurare che gli annunci sugli alcolici non siano indirizzati ai minori e non ne incoraggino un consumo eccessivo.
Non si è fatta attendere la reazione di produttori e associazioni di categoria con una generale levata di scudi rispetto ad una presa di posizione da cui emergerebbe incoerenza rispetto alle precedenti determinazioni, ma nè Trump nè la Commissione Europea sembrerebbero propensi a fare passi indietro. Il passaggio dalle parole, per non dire dalle minacce, ai fatti resterebbe una mera questione di tempo.