Home Attualità Clima e vigneti: la tecnologia da sola non basta, serve adattamento

Clima e vigneti: la tecnologia da sola non basta, serve adattamento

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L’instabilità delle stagioni, le ondate di calore sempre più intense, le piogge irregolari e l’arrivo di nuovi parassiti stanno mettendo in difficoltà anche le coltivazioni più tradizionali del nostro patrimonio agroalimentare, tra cui la vite, il caffè e il cacao.

Davanti a questa emergenza planetaria, cresce la tentazione di riporre ogni speranza nelle soluzioni tecnologiche: intelligenza artificiale, biotecnologie, geoingegneria. Strumenti avanzati che sembrano offrire la possibilità di riparare i danni provocati dall’uomo. Ma quanto è fondata questa aspettativa?

Lo studio sulla geoingegneria solare

Un interrogativo che emerge con forza dalla lettura di una recente ricerca del Dipartimento di Scienze Atmosferiche della Colorado State University, pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research Letters. Gli studiosi hanno esaminato una delle ipotesi più drastiche sul tavolo: l’iniezione di aerosol stratosferico (SAI), che consiste nel rilasciare particelle riflettenti nella stratosfera per diminuire la quantità di radiazione solare che arriva al suolo e limitare così l’incremento delle temperature globali, replicando artificialmente l’effetto di una grande eruzione vulcanica.

I modelli climatici elaborati dal team hanno preso in esame diciotto importanti aree agricole distribuite tra Europa, Sud America e Africa occidentale, concentrandosi sul decennio 2036-2045. Sono stati messi a confronto tre possibili futuri: uno scenario baseline denominato SSP2-4.5, che ipotizza una crescita moderata e continua delle emissioni di gas serra, e due scenari con intervento SAI, ARISE-1.5 e ARISE-1.0, in cui le particelle riflettenti stratosferiche limiterebbero il riscaldamento globale rispettivamente a +1,5 °C e +1,0 °C rispetto all’era preindustriale.

Per ognuna di queste ipotesi, i ricercatori hanno misurato il grado di adattabilità climatica per la coltivazione di uva, caffè e cacao, attraverso un indicatore di “idoneità agroclimatica” che integra tre parametri fondamentali: temperatura, precipitazioni e umidità. Ciò ha consentito di calcolare quanti anni del periodo esaminato avrebbero offerto condizioni favorevoli alla crescita delle colture nelle varie regioni e di verificare se la geoingegneria solare potrebbe davvero garantire maggiore stabilità alla produzione agricola.

Risultati contrastanti per i vigneti

Le conclusioni dello studio sono nitide e al contempo preoccupanti: la SAI ridurrebbe le temperature ma non assicurerebbe stabilità. Soltanto sei delle diciotto regioni esaminate mostrerebbero un beneficio affidabile rispetto allo scenario senza alcun intervento, mentre nel resto dei territori emergerebbe un quadro frammentato di effetti divergenti. In alcuni luoghi le condizioni migliorerebbero, in altri peggiorerebbero, e frequentemente precipitazioni e umidità diventerebbero ancora meno prevedibili.

Per quanto riguarda l’uva, la Spagna meridionale apparirebbe come una delle rare aree beneficiarie grazie al ripristino delle ore di freddo indispensabili alle viti e a una ridotta incidenza di alcune patologie, ma in numerose altre zone vitivinicole europee i benefici si annullerebbero oppure verrebbero compensati da nuovi pericoli. Il caffè in Brasile oscillerebbe tra scenari più favorevoli e altri caratterizzati da gelo o siccità, mentre il cacao registrerebbe un segnale positivo specialmente in Camerun, anche se nelle regioni limitrofe l’incremento dell’umidità continuerebbe a promuovere infezioni fungine.

Impatti economici imprevedibili

Dal punto di vista economico, il panorama sarebbe tutt’altro che tranquillizzante: le differenze nei potenziali ricavi da esportazione tra uno scenario e l’altro potrebbero toccare cifre straordinarie. Per la sola Francia, lo scarto tra la simulazione più favorevole e quella più sfavorevole per la produzione di vino raggiungerebbe quasi 60 miliardi di dollari. La SAI, in sostanza, rischierebbe di generare vincitori e vinti climatici, senza alcuna garanzia di equità o prevedibilità.

Lo studio evita toni allarmistici e descrive con precisione la complessità delle relazioni tra clima e agricoltura, ma le sue conclusioni offrono uno spunto di riflessione significativo: se persino le tecnologie più sofisticate non riescono a garantire risultati stabili, il vero interrogativo non riguarda quanto possiamo controllare il clima ma quanto siamo ancora in grado, oggi, di adattarci.

L’adattamento come risposta

D’altronde, l’adattamento al cambiamento climatico ha sempre fatto parte della storia dell’umanità: le società agricole hanno imparato, nei secoli, a convivere con siccità, alluvioni, spostamenti delle stagioni. La differenza oggi risiede nella velocità del mutamento. I processi di degradazione ambientale, dall’erosione dei suoli alla perdita di biodiversità, sembrerebbero procedere più rapidamente della nostra capacità di risposta; le stagioni non cambiano più lentamente di generazione in generazione ma nell’arco di pochi anni, e quello che un tempo era adattamento graduale oggi rischia di trasformarsi in rincorsa continua.

In questo scenario, affidarsi alla tecnologia come soluzione unica diventa un’illusione di controllo: potremmo forse abbassare la temperatura, ma non possiamo stabilizzare automaticamente un sistema che abbiamo spinto ai suoi limiti. La tecnologia può attenuare alcuni effetti, ma non restituirci il tempo, gli equilibri ecologici e la capacità di assorbire gli shock che abbiamo consumato.

L’agricoltura, più di ogni altro settore, ci ricorda che la sopravvivenza dipende da equilibri locali, dal tempo e dalla conoscenza, elementi che nessuna innovazione può generare all’istante. E anche dalla lettura dello studio emerge una prospettiva diversa dalla scorciatoia tecnologica: strategie di adattamento su misura, pratiche agricole resilienti, tutela della biodiversità, sostegno ai piccoli produttori e cooperazione internazionale.

La crisi climatica non chiede un nuovo strumento, ma un nuovo modo di collaborare, non una soluzione calata dal cielo, ma un impegno che parte da terra, l’unica dimensione in cui possono crescere le radici di un cambiamento ormai improcrastinabile.

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