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Affinamento subacqueo: 8 underwater wines per raccontare la nuova frontiera

Un percorso tra otto etichette underwater per capire come il mare può modificare struttura, aromi e identità del vino.

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Il mare come cantina naturale non è più solo un’idea suggestiva ma un metodo enologico in via di consolidamento. In poco più di dieci anni, l’affinamento subacqueo ha conquistato credibilità tecnica grazie a protocolli certificati, contenitori brevettati e una community internazionale di produttori che sfrutta temperatura stabile, buio profondo e pressione costante per modificare l’evoluzione del vino. Tra i protagonisti di questa frontiera c’è Jamin UnderWaterWines, società di ingegneria fondata da Emanuele Kottakhs che applica selezioni rigorose dove solo un vino su quattro supera la prima fase di valutazione.

L’idea alla base è semplice: utilizzare le condizioni del mare come una cantina naturale capace di influenzare l’evoluzione del vino. Le prime prove in Mediterraneo risalgono a una quindicina d’anni fa; da allora, prototipi isolati e sperimentazioni spontanee hanno lasciato spazio a un metodo codificato, alimentato da una crescente quantità di dati e da un archivio di campioni che consente confronti sensoriali sempre più precisi.

Il settore non è esente da critiche e scetticismi. Una parte dell’industria continua a guardare all’underwater come tendenza passeggera, o come operazione più estetica che sostanziale. Altri sollevano interrogativi sulla replicabilità del metodo, sulla sua reale incidenza gustativa o sul suo impatto ambientale.

Nonostante le perplessità, i produttori che scelgono il mare non sono mai stati così numerosi quanto negli ultimi anni: lo considerano un ambiente sostenibile, una via identitaria e, in alcuni casi, una leva tecnica che permette al vino di evolvere secondo dinamiche nuove.

Jamin UnderWaterWines ha trasformato un’intuizione in un sistema caratterizzato da protocolli severi, selezioni rigorose con solo un vino su quattro che supera la prima fase, contenitori dedicati e un approccio dichiaratamente scientifico. Il mare come cantina naturale non è più un’ipotesi suggestiva ma un metodo in via di consolidamento, capace di generare vini riconoscibili diversi, ma non snaturati.

La degustazione al Merano Wine Festival

Ed è proprio in questa ottica, quella di una corrente giovane ma già significativa, che si legge la degustazione dedicata all’affinamento underwater, andata in scena al Merano Wine Festival all’interno della masterclass “UnderWaterWines: una scelta che premia!”.

Un percorso guidato attraverso otto vini provenienti da territori diversi, selezionati per la loro capacità di dialogare con il mare e di mostrarne, nel bicchiere, l’impatto sensoriale. Otto bottiglie, otto storie e altrettanti modi di interpretare quello che il mare può o non può aggiungere a un vino. (foto 2)

1. Rachele 2022 – Etna Bianco Superiore (Azienda Rachele)
Il percorso inizia sull’Etna, dove la viticoltura è ancora un lavoro di fatica e manualità. L’Etna Bianco di Rachele, affinato prima a 400–600 metri e poi immerso in mare, mantiene la sua natura vulcanica ma la completa con una persistenza salina sorprendentemente lunga con il mare che non copre, accompagna. Un risultato che permette a un piccolo produttore di emergere in una denominazione oggi sotto i riflettori.

2. Giulio F56 – Spumante Metodo Classico (Baia del Sole)
In Liguria, le bottiglie di Baia del Sole riposano già sotto il livello del mare nella cantina. L’affinamento subacqueo aggiunge un ulteriore livello con note minerali più nette, pietra focaia marcata, un profilo mediterraneo più definito, un Vermentino che trova nel mare il suo amplificatore naturale. La famiglia racconta di aver visto il vino “commuovere” la generazione precedente nella prima comparazione tra campione emerso e non immerso.

3. Ostrea in Fundo 2023 – Ravenna Classico IGP (Tenuta del Paguro)
La storia di questo vino è quasi cinematografica, affina nelle cavità di un relitto petrolifero esploso nel 1965, oggi trasformato in reef naturale. L’ambiente (buio totale, pressione uniforme, correnti costanti) crea una armonia insolita, quasi un’onda che leviga il vino. Il Sangiovese di Romagna di Gianluca Grilli diventa così un simbolo, da una ferita del mare nasce un vino nuovo.

4. Baldero 2019 – Chianti Classico DOCG (Carus Vini)
Il Chianti Classico reagisce al mare con finezza: il tannino si ammorbidisce, la trama si distende, la sensazione gustativa diventa più rotonda e gentile. Kottakhs lo spiega come un’accelerazione naturale della maturazione fenolica, ciò che richiederebbe anni in cantina sembra avvenire in tempi più rapidi, senza perdere l’eleganza toscana.

5. Bolgheri Rosso – Tenuta Campo al Signore 
Il primo Bolgheri a riportare in etichetta la dicitura UnderWaterWine. Il risultato è un rosso che preserva la classicità della denominazione ma guadagna un equilibrio diverso, più setoso e lineare. Per un territorio abituato a percorsi di maturazione codificati, questo vino rappresenta una piccola rivoluzione, non estetica ma metodologica.

6. Venusio 2017 – Aglianico del Vulture Superiore (Cantina di Venosa)
L’Aglianico è un vitigno potente, spesso bisognoso di anni. Il mare, in questo caso, sembra offrirgli un’altra temporalità, il Venusio rientra in superficie più vivo, più brillante, più fresco, come se avesse “ripreso fiato”. Il frutto ritorna, i tannini si rilassano, la bocca si apre, un caso emblematico della capacità del mare di restituire energia.

7. Sciacchetrà – Passito delle Cinque Terre (Azienda Agricola Possa)
Heydi Bonanini, che vendemmia ancora in barca sulle Cinque Terre, porta in mare un vino già ricco di tradizione. Lo Sciacchetrà emerge dopo l’immersione con una profondità sorprendente, simile a quella di un passito molto più maturo, ma senza perdere tensione o dolcezza, un incontro naturale tra un vino nato accanto al mare e il mare stesso.

8. Champagne 52 Cloe Marie Kottakhs – Jamin UnderWaterWines
La degustazione si chiude con lo Champagne simbolo della casa, la prima referenza a essere immersa, la bottiglia da cui tutto è iniziato. La permanenza underwater non modifica la classicità francese, ma ne affina il passo: bollicina più fine, sorso più teso, finale pulito. È una chiusura che sintetizza la filosofia del metodo: il mare non trasforma, rifinisce.

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