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Vino: in Italia torna l’allerta contraffazione

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Le grandi storie di contraffazione nel mondo del vino sono legate a doppio nodo da un comune denominatore: hanno sempre visto nei grandi vini francesi il palcoscenico privilegiato, con Château Petrus, Domaine de la Romanée-Conti, Château Lafite Rothschild tra le etichette d’oltralpe più insidiate al mondo e il tutto ad opera di geni della truffa che seppur braccati ed incastrati “a volte ritornano” o almeno, in virtù del loro camaleontismo, restano temuti e temibili.

Hanno fatto epoca le gesta di Hardy Rodenstock, produttore musicale tedesco convertitosi all’arte della falsificazione che nel 1985 riuscì a piazzare in un’asta di Christie’s ad un membro della famiglia Forbes una bottiglia di Château Lafite datata 1787 per 156.000 dollari, spacciandola per un tesoro appartenuto a Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti, così come quelle del giovane Rudy Kurniawan, indonesiano di discendenza cinese noto come Dr. Conti per la sua capacità di riprodurre quantitativi significativi di bottiglie di ogni formato del noto Domaine, la cui ombra continua ad aleggiare sulle operazioni delle grandi case d’asta a diversi anni dalla sua scarcerazione dagli Stati Uniti ed estradizione nel suo paese d’origine.

Nel solco di questa tradizione si inseriscono le gesta di un contraffattore russo insediatosi da qualche anno a Desio di cui gli inquirenti non hanno al momento reso noto il nome, salito agli onori della cronaca per aver messo per la seconda volta in piedi, in questo caso con base in Italia, un sistema di falsificazione di vini francesi a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e la cui carriera sembrerebbe essere stata definitivamente stroncata dopo i sei arresti e le sedici perquisizioni effettuati nel settembre scorso tra Torino, Cuneo, Roma e Bologna.

Sarebbe stato proprio il quarantenne russo al vertice di un’organizzazione criminale transnazionale che si avvaleva della collaborazione di tipografie italiane per la realizzazione di etichette che riproducevano font, colore e persino Qr code e tag di sicurezza di quelle originali, insieme a tappi taroccati con cui venivano contraffatte le bottiglie successivamente vendute a prezzi di mercato a commercianti ignari, con cifre che sfioravano i 15.000 euro per un giro di affari complessivo di 2 milioni.

Il vino veniva falsificato in Italia, consegnato all’aeroporto di Malpensa ed esportato per la vendita in tutto il mondo soprattutto fra Paesi baltici, Dubai e Singapore. Banda sgominata dunque e maxi sequestro di bottiglie, colorante alimentare, 5.000 etichette false, 100.000 euro in contanti, dispositivi elettronici e documentazione ritenuta molto utile dagli inquirenti.

Le indagini condotte dalla Gendarmeria francese (Gendarmerie Nationale), che hanno coinvolto il Corpo dei Carabinieri italiani (NAS Carabinieri) e la Polizia federale svizzera (Police Federale Swiss), supportata da Europol ed Eurojust, ricostruendo il sistema messo in piedi dalla rete criminale tra Italia e Svizzera e correlandolo alle caratteristiche delle contraffazioni ha portato gli investigatori a stabilire un collegamento con una precedente indagine sostenuta da Europol e di cui il cittadino russo era stato protagonista uscendone anche in quel caso condannato e arrestato.

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