Home PROTAGONISTI Viticoltori La filosofia di Damijan Podversic, vignaiolo che incarna l’anima del Collio Goriziano 

La filosofia di Damijan Podversic, vignaiolo che incarna l’anima del Collio Goriziano 

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Quello di Damijan Podversic è il racconto di un uomo il cui destino è legato a doppio filo a due grandi amori, quello per il vino e quello per il Collio Goriziano. Quel Friuli che lui stesso definisce terra difficile perché di confine, crocevia di culture e tradizioni, fertile anfiteatro raccolto tra le Alpi Giulie e l’Adriatico, figlio di mille contaminazioni e trasformazioni, dove un’economia agricola, fiorente sotto l’egida dell’Impero Austro Ungarico, venne sconvolta nel secolo scorso dalle due Guerre, dalla devastazione del fronte quanto da quella delle leggi razziali, e con l’annessione all’Italia visse la sua crisi non trovando più sbocco per i suoi prodotti.

Per i viticoltori due furono le strade da poter intraprendere, o comprare un’osteria dove vendere il proprio vino oppure abbandonare le vigne e andare a lavorare in una delle fabbriche impiantate in quella che divenne zona franca. Il caso volle che suo padre optasse per la prima delle due soluzioni rilevando un’attività a Gorizia insieme allo zio, forti delle terre vitate di proprietà di quest’ultimo, e che entrambi, dopo la separazione dalle rispettive mogli, decidessero di impiegare Damijan dietro il bancone.

Negli anni Settanta il rilancio dei commerci internazionali e il cambio della guardia sul palcoscenico della critica enogastronomica con Luigi Veronelli a subentrare a Mario Soldati, rappresentarono il momento propizio per un gruppo di giovani viticoltori che riuscì a conquistare il proprio spazio. Erano Mario Schiopetto, Nicola Manferrari e il padre spirituale di Podversic, Josko Gravner.

Damijan Podversic alla serata della Banca del Vino

“Ero un ragazzino di 17 anni, con una grandissima passione per il vino, iniziavo la scuola enologica e sognavo, pur non avendone la possibilità perché figlio d’oste e con due soli ettari di vigneto con cui si faceva un vino per l’osteria. Correvo in giro in motorino, con gli occhi pieni di entusiasmo, illuminato ed ispirato da quei vignaioli che diventeranno i miei maestri.”

Ma a determinare la vera svolta fu il pragmatismo del padre di Damijan: “Mi buttò fuori casa. Pensava che io, convinto di poter vendere il vino a 10mila lire anziché a 100, non ce l’avrei mai fatta nella vita. Grazie a lui intrapresi il mio vero viaggio.”

Reduce dal servizio di leva, con un piccolo vigneto acquistato prima di partire che lo attendeva, iniziò a tracciare il suo percorso. “E lì ebbi un altro colpo di fortuna, conobbi Elena che diventò poi mia moglie sostenendomi nel mio sogno. Salimmo sull’astronave nel viaggio verso la luna.”

Oggi Damijan confessa che sulla luna c’è arrivato e di essere anche sulla strada del ritorno. Il suo percorso di vignaiolo finirà con l’annata 2026, quando si metterà da parte per dare spazio all’unica dei suoi tre figli ad aver seguito le sue tracce, Tamara. Formatasi sul campo in Borgogna, nel 2027 inizierà le sue 30 vendemmie. In famiglia si stanno già preparando alla transizione con un coach che li affianca in questo passaggio cruciale.

 Damijan Podversic e la figlia Tamara in cantina

L’azienda conta 15 ettari di vigneto e 100mila piante, le parcelle più significative sui boscosi pendii rivolti a sud del Monte Calvario, alle porte di Gorizia, cui se ne aggiungono altre più piccole sparse nel Collio per una produzione che quest’anno toccherà per la prima volta le 60mila bottiglie mentre in passato si attestava al massimo intorno alle 40mila.

Ribolla Gialla, Malvasia Istriana, Friulano, Pinot grigio e Chardonnay i vitigni a bacca bianca, Merlot e Cabernet Sauvignon quelli a bacca rossa. I vini nascono estraendo le ricchezze del frutto e del seme grazie a lunghe fermentazioni in presenza delle bucce, dopo di che riposano in grandi botti di rovere da 20 o 30 hl. Poi un ulteriore affinamento in bottiglia perché per Damijan bisogna lasciare che il tempo faccia la sua parte.

Il vino naturale esiste? Come nasce un grande vino e come si può definire tale?

Il Podversic pensiero ha le sue coordinate, ben chiare, una mappa che Damijan ha costruito nel corso degli anni sul campo, soprattutto tra le vigne, andando a mettere in discussione dogmi trasmessi attraverso una formazione scolastica in campo enologico che oggi rinnega senza fare sconti e riabilitando gli insegnamenti del padre e del nonno tanto osteggiati in gioventù.

L’istituto di agraria dovrebbe essere un liceo, andrebbero insegnati i ritmi e il linguaggio della natura legati al colore, all’odore e al sapore, oltre alla filosofia, perché chi approccia la materia vitivinicola dovrebbe mettere in conto il dubbio, la capacità di confrontarsi con la realtà che ha di fronte senza preconcetti, non sentirsi un Dio perché ha imparato formule, ma porsi delle domande, mettersi in discussione, quello che non facevo io da ragazzo e che ho capito con fatica dopo 20 anni.” 

Fare il vino una volta che l’uva ha oltrepassato la porta della cantina per Damjian è semplicissimo, sono poche le regole da applicare, la vera sfida è tra i filari dove tutto dipende dal lavoro dell’uomo, dalla capacità di leggere la natura, di ascoltarla, di riconoscerne i cicli e i cambiamenti, dalle scelte fatte giorno dopo giorno, un insieme di tantissime variabili dove ad essere centrale è la capacità di sottrarre il seme quando la vite lo vorrebbe per sé, per preservare e dare continuità alla specie.

“Perché la vite non è nata per fare il vino ma per riprodursi, per questo il vino naturale non esiste, il vino è un prodotto della tecnica, frutto del lavoro dell’uomo che va a vendemmiare la pianta sottraendole il seme quando è maturo.

Damijan e Tamara

Quindi come si fa un grande vino? La ricetta, dice Damijan, è vecchia di 8.000 anni ed è fatta di tre elementi: il suolo, con la terra che deve essere vocata alla frutticoltura e non aver bisogno d’acqua nel periodo estivo (la ponca friulana risponde perfettamente a questo profilo); la varietà, che deve essere coerente rispetto al territorio in cui è allevata e corrispondente ai paralleli per cui la sua scelta privilegia tre autoctoni, Ribolla Gialla, Malvasia Istriana e Friulano; la perfetta maturazione del seme che è in assoluto la cosa più difficile da conquistare, infatti si riesce ad ottenere la maturazione fenolica, se tutto va bene, due annate su dieci.

Altra coordinata fondamentale è che il vino è una bevanda oggettiva, non soggettiva. Se si accettasse la soggettività tutto sarebbe buono, ma dal momento che si conoscono pregi e difetti del nettare di Bacco è impossibile non tenerne conto.

Per poter definire un vino come “grande vino” bisogna quindi constatare la presenza di elementi per Damijan irrinunciabili: la mineralità o salinità, il vino deve essere salato; la croccantezza per cui quando bevi un vino devi avere la sensazione di mordere, masticare il frutto; le tensioni del vino, cioè le parti acide che tengono il palato sempre vivo; e poi ci sono i ritmi d’annata che fanno sì che un vino non possa mai essere uguale all’altro, con stagioni calde che regalano vini esplosivi “alla AC/DC”, quelle piovose che riportano a ritmi “da Nona di Beethoven”, e le intermedie con caratteristiche meno nette.

Ribolla Gialla Vs Kaplja, come entra in campo la soggettività

Nella valutazione di un vino c’è però una parte, seppur minima, quel 10% che attiene alla soggettività ed è secondo Podversic nel carattere del vitigno che lui paragona ai diversi tipi di bellezza femminile.

Ci sono donne la cui unicità salta subito agli occhi perché evidente da un punto di vista estetico e Damijan associa questa qualità ai vitigni aromatici come il Friulano e la Malvasia Istriana, e una bellezza interiore che si può scoprire andando più a fondo nella conoscenza, magari attraverso una conversazione, che associa ai vitigni “basali” come la Ribolla Gialla. Lo dimostra nel corso della degustazione in cui mette a confronto quattro annate del Kaplja e una di Ribolla Gialla.

“Di solito i vini aromatici non hanno mai la profondità dei vini basali. La Ribolla Gialla non darà niente al naso, non mostrerà nulla di intrigante al primo impatto ma quando la metterete in bocca mostrerà la sua profondità. Per questo in occasione delle degustazioni faccio servire la Ribolla Gialla per ultima perché per me è uno dei vini più intensi del Friuli, del Collio, anche se non tutti le riconoscono questo valore, probabilmente perché non riescono ad esaltarne le potenzialità.”

E se la Ribolla Gialla è il vino della profondità, della complessità, il suo Kaplja è il vino perfetto, donna bella fuori e bella dentro. Così lo pensò suo padre quando gli consigliò di unire il mondo aromatico di malvasia istriana e friulano (60%) con il mondo basale dello chardonnay (40%) mettendo insieme i tre vitigni. Un vino che nel calice esprime la convergenza delle due dimensioni in un perfetto bilanciamento armonico. A declinarne l’unicità restano poi per entrambi i ritmi d’annata che ne delineano il tratto.

Il vino alimento per l’anima

Sul fatto che il vino non sia un alimento per il corpo Podversic non ha alcun dubbio né tentennamento: “Il vino è una droga” chi lo considera diversamente non prende in considerazione il fatto che la sua assunzione in quantitativi elevati va ad incidere sulla funzionalità degli organi e sulla salute umana.

Ma accanto a questa verità ce ne è un’altra altrettanto se non più importante: “non esiste al mondo bevanda più spirituale del vino e l’uomo ne ha assoluto bisogno, ha bisogno di fermarsi per alimentare l’anima, incontrare sé stesso. Solo il vino racchiude in sé gli elementi che permettono di onorare quel sacro momento, un mix che nessun altro tipo di alcol, né birre, né grappe potrà mai avere.”

E proprio per questo Damijan si ritiene un uomo fortunato perché lui a quella bevanda così preziosa ha avuto la fortuna di dedicare la vita realizzando insieme alla moglie Elena il suo grande sogno. Un sogno che continuerà a camminare sulle gambe della figlia Tamara che è pronta a raccogliere il testimone e farlo suo.

Tamara Podversic

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