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Dai PIWI ai Super Olivi: il futuro è nelle piante resistenti al cambiamento climatico?

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Quello della resistenza agli effetti del cambiamento climatico è un tema sempre più centrale quando si parla di futuro del mondo agricolo. Il carattere variabile e spesso estremo delle condizioni atmosferiche sta accelerando l’evoluzione di malattie e insetti, con le colture esposte a frequenze e quantità d‘acqua eccezionalmente abbondanti, gelate improvvise, arsura o temperature ben oltre le medie stagionali.

L’alterazione dei modelli meteorologici e la destabilizzazione degli equilibri naturali ha richiesto una risposta per sostenere in prospettiva il mondo produttivo, e a divenire sempre più strategici sono proprio gli investimenti in ricerca genetica e tecnologie, essenziali per sviluppare colture resistenti e garantire una produzione alimentare sostenibile.

Ecco quindi spiegata in campo vitivinicolo la progressiva ascesa dei vitigni PIWI, acronimo che deriva dal tedesco pilzwiderstandfähig e significa “viti resistenti ai funghi”, piante che possono difendersi dalle principali malattie della vite grazie ai geni che conferiscono loro una sorta di scudo, ridimensionando la necessità di ricorrere all’uso di pesticidi.

Questi meticci ottenuti da incroci multipli per impollinazione di due specie diverse di vite, quella europea ibridata con quella americana o con l’asiatica, entrambe immuni a malattie come la peronospora, non sono totalmente inattaccabili dalle malattie ma comunque resistenti.

Ad oggi le varietà PIWI che possono essere coltivate nel nostro Paese sono 36, autorizzate solo in 10 regioni (Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Abruzzo e Campania) ma nonostante pregiudizi e vuoti legislativi la loro popolarità è in crescita soprattutto perché più sostenibili richiedendo minori trattamenti in vigna e contenendo le emissioni di Co2.

Più recenti i primi importanti risultati relativi agli esperimenti nel mondo dell’olivicoltura con una ricerca focalizzata sullo stesso tipo di risultato, individuare cultivar che possano rispondere alle sfide del cambiamento climatico e che possano sostenere la rinascita di patrimoni olivicoli colpiti da epidemie di patogeni come nel recente caso della Xylella fastidiosa.

In particolare il progetto Olive Hub, una delle sperimentazioni più innovative nel settore a livello internazionale realizzato in Umbria con la convergenza di fondi pubblici e privati, sta ottenendo risultati concreti grazie al lavoro di ricercatori, aziende agricole e istituzioni scientifiche.

Il CNR – Istituto di Bioscienze e Biorisorse dell’Università degli Studi di Perugia ha lavorato infatti all’identificazione di 2700 semenzali e 1700 genotipi tra cui sono emerse 20 cultivar (10 autoctone e 10 da incroci) che oltre a tollerare carenze idriche e alte temperature ed essere resistenti agli agenti patogeni, si adattano perfettamente alla meccanizzazione integrale, garantendo una maggiore sostenibilità economica e ambientale, risultati che lasciano ben sperare per il futuro e forniscono strumenti concreti per il sistema produttivo.

Il vero gap da colmare oggi, per i PIWI come per i Super Olivi, resta quello relativo all’informazione sul prodotto che ne deriva e la sua qualità. Troppo spesso le uve PIWI al pari di quanto potrà accadere per le “super olive”, vengono accostate agli organismi geneticamente modificati (OGM) con i quali non hanno nulla a che fare. Sono questi pregiudizi il vero ostacolo per la diffusione delle piante resistenti, unitamente ad un sistema legislativo ancora carente per garantirne impiego, tutela e sviluppo.

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