La storia di VignaMadre e della Famiglia Di Carlo affonda le radici in sei generazioni di viticoltura abruzzese, ma il punto di svolta arriva nel 1991 quando Giannicola Di Carlo realizza la prima conversione totale al biologico su scala aziendale in Italia. «Non è stata una scelta commerciale, ma una scelta di vita», racconta l’imprenditore, agronomo, enologo e paesaggista che trasforma un dolore privato in una scelta etica radicale, anticipando di decenni un percorso oggi sempre più diffuso nel settore vitivinicolo nazionale.
Il territorio di riferimento si estende nel cuore dell’Abruzzo collinare, tra Ortona, Crecchio, Caldari e i comuni più vocati della provincia di Chieti. Una geografia che respira in verticale, a 4 km dal mare e 30 km dalla neve, con vigneti ventilati che oscillano tra i 200 e i 300 metri di altitudine. I terreni calcarei e argillosi, a tratti ricchi di scheletro, riescono a trattenere l’acqua anche nei periodi più asciutti, mentre il clima alterna brezze marine e correnti montane creando un equilibrio fragile e prezioso per la vite.
Il patrimonio condotto dalla Famiglia Di Carlo conta circa 350 ettari: 150 dedicati ai rossi, 150 ai bianchi e spumanti, 50 ai rosati, per una produzione che si attesta intorno al milione di bottiglie. La prima testimonianza scritta della presenza della famiglia nel territorio risale al 1830, quando un antenato spediva piccoli lotti di vino verso il Granducato di Toscana.
La genealogia produttiva inizia nel 1795 con Nicolò, capostipite di una visione agricola fondata sull’osservazione della natura. Suo figlio Camillo rafforza questa impostazione, che nel 1830 viene consegnata alla memoria in una lettera ancora oggi considerata un manifesto di integrità e lungimiranza. Nel 1888 Nicola Di Carlo amplia la proprietà e definisce la struttura produttiva, nel 1912 Camillo fonda il ramo aziendale di Villa Caldari, mentre nel 1940 Tommaso porta la viticoltura verso standard più elevati.
Con Giannicola, nato nel 1965, la tradizione entra nel presente attraverso un progetto radicale verso la sostenibilità. Nel 1991 firma la conversione totale al biologico e nel 1997 realizza il primo centro produttivo europeo in bioarchitettura. La forma di allevamento più diffusa è la pergola abruzzese, che si affianca agli impianti a filare in una gestione sempre orientata alla biodiversità. «La pergola, in alcuni anni, supera il filare: ombreggia il suolo, trattiene l’umidità, protegge le piante dallo stress idrico», spiega Giannicola.
La conversione del 1991 non rappresenta solo una scelta produttiva, ma un principio cardine. Giannicola partecipa alla definizione del Regolamento CEE 2092/91, scrive linee guida, sperimenta e insiste per affermare nuovi metodi. «Volevo eliminare tutto ciò che non apparteneva alla natura», ricorda. Introduce tecniche pionieristiche come la confusione sessuale per la Lobesia botrana («Ci vollero anni per convincere tutti che funzionasse»), seleziona leguminose capaci di fissare l’azoto e immagina un vigneto che si difende autonomamente.
Da questa tensione verso l’innovazione nasce il Vigneto Bio-Dinamico-Energetico, una struttura di filari colorati secondo le frequenze dei Chakra. Un gesto che sembra poetico ma ha radici scientifiche. «Le piante comunicano: percepiscono l’ambiente, reagiscono, interagiscono», spiega. I colori attirano insetti utili e attivano processi vegetativi più intensi, creando un vigneto che vibra letteralmente.
Oggi l’azienda è guidata insieme ai figli, Federico e Daniele, che hanno introdotto una dimensione più contemporanea senza spezzare il filo della memoria. Innovazione, spiritualità, tecnica e territorio convivono nella stessa linea di continuità. «Il vino è l’alchimia tra informazione, energia e materia», afferma Giannicola.
VignaMadre e la linea personale di Giannicola Di Carlo contano complessivamente oltre trenta etichette, distribuite in tredici linee che rispecchiano temperamenti, tecniche e intenzioni diverse. Dai vini quotidiani e immediati alle interpretazioni più radicali del territorio, fino ai progetti sperimentali che uniscono fermentazioni spontanee, anfore, cemento e pratiche a basso intervento. Una gamma che non nasce per moltiplicazione commerciale ma per ricerca, per risposta a ciò che la terra suggerisce, per l’esigenza di raccontare sfumature diverse dello stesso paesaggio viticolo.
La degustazione
La degustazione prende avvio dal Trebbiano d’Abruzzo “Kriya”, il vino che Giannicola Di Carlo considera il punto di accesso più naturale alla filosofia VignaMadre. «Un vino deve essere buono subito», afferma, quasi a ribadire che la semplicità non è mai un compromesso ma un atto di sincerità. Il Trebbiano si muove su note fresche, lineari, pulite, un bianco quotidiano, schietto, che vive dell’essenziale.
La progressione prosegue con il Pecorino “Iava”, biologico e vegan, che rappresenta un passo avanti in complessità e struttura. «È più maturo, più ricco», racconta Giannicola, «ma deve rimanere verticale». E infatti il vino alterna densità aromatica e precisione gustativa, offrendo un profilo luminoso, sostenuto da una freschezza che non concede derive pesanti. È il primo vino della degustazione in cui emerge chiaramente la profondità del territorio di Ortona.
Poi la materia si fa più viva, più pulsante, arriva la Passerina “Terreum 91”, fermentata spontaneamente e priva di solfiti aggiunti. È un vino che nasce da un gesto agricolo di sottrazione, e proprio per questo appare più complesso, quasi selvatico, con accenni mielati e di sambuco. «Qui facciamo parlare la terra senza interferire», spiega Giannicola. È un vino divisivo, come spesso accade alle espressioni non addomesticate: chiede ascolto, restituisce identità.
Il percorso entra quindi nel mondo dei rossi, iniziando dal più radicale: il Montepulciano d’Abruzzo “Terreum 91”, senza solfiti aggiunti, vinificato in cemento. È un vino integro, ruvido nella sua sincerità, un Montepulciano che conserva la forza originaria del vitigno. «Non va domato, va accompagnato», insiste Giannicola, ed è proprio questo accompagnamento rispettoso che gli permette di esprimere una trama asciutta, energica, viva.
Dopo la profondità dei Terreum, la degustazione torna alla quotidianità con il Montepulciano d’Abruzzo “Kriya”, più semplice e diretto, vinificato solo in acciaio. È un rosso che riflette la stessa filosofia del Trebbiano iniziale: vini sinceri, puliti, costruiti per una beva immediata, senza perdere la riconoscibilità del vitigno. Una pausa di equilibrio prima dell’ultimo passaggio.
A chiudere arriva il vino-simbolo: il Becco Reale, Montepulciano proveniente dal Vigneto Dinamico-Energetico, il progetto che unisce agronomia, colore ed equilibrio ambientale. Qui, più che altrove, la visione di Giannicola diventa vino. Il sorso è ampio, caldo, armonico; un piccolo passaggio in legno ne arrotonda la tessitura senza snaturare la freschezza. «L’energia del vigneto si sente nel bicchiere», ricorda. E questo Montepulciano sembra davvero portarsi dietro l’eco di quei filari colorati pensati per dialogare con la natura.
Una degustazione così costruita non ha semplicemente mostrato sei vini ma ricostruito un mondo, una dimensione costruita tra esperienza, consapevolezza e definizione di una direzione. Dai bianchi immediati ai rossi più meditativi, dalla purezza del biologico alla ricerca energetica, è un percorso che traduce in vino tutto ciò che la Famiglia Di Carlo ha scelto di essere: gesto, terra, legame.
