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La Toscana fuori dagli schemi nei vini di Colline Albelle

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Prendi un giovane enologo francese eclettico ed ambizioso, che il vino ce l’ha nel sangue perchè in famiglia se ne fa da generazioni e che inizia a girare il mondo molto presto per imparare a farlo meglio. Dalla California all’Australia, dalla Nuova Zelanda alla Russia incrocia aziende come Opus One, esperienze per cui ottiene riconoscimenti dal mercato che lo portano a lavorare in Italia.

Fai che un giorno, compreso che il vino è la sua missione, si mette alla ricerca del luogo perfetto, dove poter esprime la sua creatività e la sua idea di essere winemaker e tra le sue esplorazioni si imbatte in un vigneto abbandonato in un territorio di eccellenza vitivinicola, complesso come pochi, mosaico dove ogni tipo di suolo è presente ma variando da una microzona all’altra, un coacervo di trame argillose, calcaree, vulcaniche, sabbiose, ricco di depositi fluviali e marini.

Siamo in Toscana, a dieci chilometri da Bolgheri, e le somme da investire sono considerevoli, il ragazzo non ne ha. Nella maggior parte dei casi una storia del genere avrebbe un finale scontato, un nulla di fatto e un voltare pagina alla ricerca di una soluzione più concretamente realizzabile.

E invece Julian Reneaud, questo il nome del protagonista del racconto, rapito dalla bellezza della Val di Cecina, dal suo essere area da esplorare e ancora tutta da scoprire, si rimbocca le maniche e trova chi possa sostenere il progetto, due imprenditrici bulgare, Dilyana Vasileva e Irena Gergova, che oltre al denaro ci mettono anche la faccia entrando a far parte del team.

Nasce così nel 2016 Colline Albelle, che prende il suo nome dai suoli di argilla bianca tipici della zona, dal colpo di fulmine di Julian di fronte alla bellezza di Riparbella, straordinario territorio collinare dove i vigneti raggiungono quota 300 metri sul livello del mare e sono a pochi chilometri dal Tirreno, da quel lembo definito Costa degli Etruschi, a lungo dimora di antiche popolazioni che qui scelsero di stabilirsi e dedicarsi alla coltivazione della vite, da quella Bolgheri che tutto il mondo ci invidia ma che non è l’unico tesoro al quale poter attingere per poter fare grandi vini.

Tra queste colline pisane, dove lo sguardo si perde tra filari e oliveti e i profumi di macchia mediterranea portati dalla brezza richiamano con forza la vicinanza del mare, in un areale ancora al di fuori dalle rotte enoturistiche, inizia l’avventura.

La scelta della conduzione biologica e biodinamica

Quando Julian decide di strappare le vigne di Colline Albelle al degrado e all’abbandono, non ha dubbi sul riservare loro la conduzione biologica e biodinamica ma soprattutto nel riconoscere la tenuta come sistema complesso in cui l’obiettivo è quello di far regnare l’armonia, l’equilibrio tra le zone produttive e quelle improduttive.

I primi due anni vengono dedicati al ripristino, con l’impegno in vigna per le potature e le mucche lasciate libere a pascolare per rimuovere la macchia che aveva preso il sopravvento, si inizia poi a lavorare con il sovescio per fertilizzare in modo naturale, il risultato del ritorno alla biodiversità è l’arrivo di sciami di api che Julian prova a regolare con la creazione di arnie, oggi ce ne sono più di 50.

In questa oasi di quaranta ettari complessivi, divisi equamente tra bosco e vigne, dai suoli ben drenati, sabbiosi, caratterizzati da argille bianche che per la loro freschezza ritardano la maturazione delle uve e le aiutano a sviluppare l’acidità, terra, pianta, animale e uomo iniziano finalmente a collaborare per il bene di tutti gli elementi.

Le altitudini di circa 300 metri vedono una combinazione perfetta tra temperature ed esposizione solare, la presenza del mare e la prossimità del fiume Cecina contribuiscono alla creazione di un microclima favorevole alla corretta maturazione del frutto e ad una maggiore concentrazione polifenolica, garanzia di tannini morbidi e di un ventaglio aromatico varietale ampio e tal da poter dar vita a vini distintivi.

La scelta è di non utilizzare pesticidi, i trattamenti in rame e zolfo sono ridotti al massimo, il lavoro è svolto in sintonia con i cicli della luna, delle stelle e del sole. I boschi sono custoditi secondo la filosofia di Akira Miyawaki, che privilegia il ripristino di una fitta biodiversità, l’orto di casa Villa Albella è condotto in permacultura.

Tutti i materiali utilizzati in azienda, dalle capsule alle etichette, provengono da materiali riciclati e sono biodegradabili, e le bottiglie sono più leggere degli standard tradizionali.

I vini

Uno dei tratti distintivi di Colline Albelle è la scelta di vinificare in purezza e di esaltare la corrispondenza tra “particella, vitigno e vino”. Sono esclusi gli assemblaggi non solo perché si preferisce non imboccare strade già troppo battute, ma per rispettare al meglio il territorio, esprimerne in modo puntuale e circoscritto le sfumature.

La predilezione è per gli autoctoni, in particolare Sangiovese, Canaiolo bianco e Vermentino, ma non mancano gli internazionali Merlot e Petit Manseng. Nei suoi vini Julian punta a verticalità, lunghezza ed eleganza. Ciascuno porta con sé un tratto prevalente, Inbianco, il vermentino, l’essere fuori dagli schemi, Inrosso, il merlot, la modernità, Serto, il sangiovese, l’eleganza.

In cantina l’intervento è minimo, si utilizzano lieviti indigeni per le fermentazioni, dosi molto limitate di solfiti e un invecchiamento adeguato per ogni tipo di vino.

Abbiamo degustato le tre etichette in abbinamento ai piatti dello chef stellato Giuseppe Stanzione del Santa Caterina di Amalfi.

INBIANCO 2020 – 2022 VERMENTINO IGT TOSCANA

Julian concepisce l’idea di Inbianco partendo dalla sua esperienza in Champagne nella Côte des Blancs, “dall’eleganza e delicatezza dal punto di vista aromatico di quel vino bianco fermo secco che è la base per la realizzazione degli spumanti ma che purtroppo è imbevibile perché non equilibrato”.

Prova a raggiungere quell’equilibrio mancato con un progetto sfidante e fuori dagli schemi: in vigna raccoglie le uve il 13 agosto, praticamente ancora verdi, pochi zuccheri che consentono di arrivare alla realizzazione dell’unico vermentino in Italia con un grado alcolico così contenuto, 10% vol.

La pressatura è leggerissima, di norma le uve bianche sono pressate a 1,2 bar per le uve di Inbianco si scende a 0,6, questo permette di estrarre il mosto senza avere troppe note vegetali e troppa acidità”. Si procede con la fermentazione alcolica con lieviti indigeni che avviene a bassa temperatura (16 gradi), segue la malolattica. Le uve vengono vinificate in acciaio prima di passare 6 mesi in barriques non tostate.

Un vino intrigante, sicuramente un vermentino atipico e per questo riconoscibile, al naso colpisce per la sua pungenza e un imprinting che parla di mineralità, ma anche di note agrumate e di fiori di campo che si ritrovano in un sorso lungo, dove a fare la differenza sono anche il taglio sul contenuto zuccherino e il contenimento della gradazione alcolica. Il tempo rende il gusto più pieno, nella 2020 finale ancora più lungo e maggiore sapidità.

INROSSO MERLOT IGT TOSCANA 2021

Quando arriva a Riparbella Julian si rende conto che la vigna nelle migliori condizioni era quella destinata al merlot e nonostante volesse puntare sugli autoctoni decide di tenerla ma cercando di tirarne fuori una espressione distintiva.
Inventa un’operazione in vigna durante la fase vegetativa, “una particolare potatura di alcuni tralci da cui discendono una  fioritura e una allegagione qualitativamente migliori, la riduzione dell’umidità nella zona del frutto (condizione che contiene il rischio di diffusione di malattie preservando le piante e che consente una maggiore penetrazione dei trattamenti), ma effetto più importante la crescita di alcuni grappoli che restano più verdi e sono ricchi di pirazina, precursore aromatico che trasferisce al vino note di peperone e che con una maturazione tradizionale delle uve merlot viene a perdersi”. La vendemmia è anche in questo caso anticipata a metà agosto.

Ispirato ai vini di Bordeaux degli anni 80, più leggeri in alcol, freschi ed eleganti, INROSSO ancora una volta esprime la volontà di Julian di differenziarsi con una sua idea del varietale, piacevolmente fruttato, verticale, dal tannino più intenso e da una eleganza accompagnata da note vegetali insolite.

SERTO SANGIOVESE TOSCANA IGP 2020

Con INBIANCO e INROSSO Julian da spazio alla sua fantasia e creatività, con SERTO torna su un taglio più classico.

“L’obiettivo è arrivare ad una espressione più tradizionale del sangiovese, catturando le caratteristiche aromatiche tipiche del varietale, foglia di pomodoro, pomodori secchi, ciliegia, e al tempo stesso lavorare su quelli che sono i difetti della struttura, essere asciugante nei primi anni e quell’amarezza che al principio risulta anche poco piacevole ma nel tempo vira verso l’eleganza. 
L’intervento chiave sono i 30 mesi di affinamento in barrique di legno di Les Vosges lavorato in Borgogna” (ispirazione qui è il Brunello di Montalcino).

Vinificato in purezza SERTO è alla sua prima uscita, da spazio alla tipicità, naso fruttato e floreale con note balsamiche, fragrante e gustoso al palato, elegante e dal finale persistente.

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