L’esplorazione del mondo enoico per individuarne ignote potenzialità è uno dei motori della ricerca scientifica a livello globale. In questo solco si inserisce l’impegno della Fondazione Edmund Mach che tra i vari filoni di studi ha avviato un percorso finalizzato a comprendere cosa contribuisce alla complessità dei vini, analizzando sostanze fino a poco fa non conosciute e dunque non tenute in considerazione, approfondimento che ha condotto ad una interessante e inaspettata scoperta.
Quello che è emerso dal lavoro dei ricercatori della Fondazione è che anche nel vino bianco esisterebbe l’effetto kokumi, ovvero anche il vino conterrebbe sostanze che tramite l’interazione con una proteina recettore sensibile al calcio, sarebbero in grado di conferire una maggiore gradevolezza al palato aumentando il gusto percepito, la pienezza e la complessità del sapore.
Il termine kokumi, che viene dal Giappone, il paese che un secolo fa ha scoperto il gusto umami, e negli ultimi decenni, dal 1980, lavora su questo ulteriore elemento, deriva da “koku”, che significa ricco, e “mi” che significa sapore e ne sentiremo molto più spesso parlare dal momento che è stato messo in relazione con un mondo fino ad oggi non ancora scandagliato sotto questo punto di vista.
Quelle che hanno individuato i ricercatori sono delle classi di sostanze che da sole non contribuirebbero al sapore ma potrebbero elevare l’intensità delle sensazioni legate ad altri composti già naturalmente presenti nel vino. Avere individuato questa nuova classe di composti è importante perché mutuerebbe un concetto che è già noto ma che è tipico di altri alimenti come la salsa di soia, il brodo, il formaggio stagionato.
La ricerca è stata condotta su 15 campioni di Trento Doc di 5 diverse annate e l’unità di Metabolomica del Centro Ricerche e Innovazione della FEM ha analizzato un numero elevato di sostanze scoprendo che i composti in questione sono originati dai lieviti a partire dalle uve. I dati di FEM sono stati poi incrociati con quelli dell’Università di Parma e dell’Università Federico II di Napoli che hanno confermato l’esistenza dell’effetto kokumi.
Come ultimo passaggio è stato verificato nel laboratorio di microbiologia come i composti, che sono degli attivatori delle sensazioni gustative, siano specifici del vino e che se invece di fermentare un mosto d’uva si facesse un sidro, cioè si fermentasse un succo di mela, oppure si facesse una birra non si formerebbero.
Il passo successivo per la Fondazione Mach sarà osservare e verificare come nella scelta delle tecnologie di produzione e dei lieviti impiegati queste sensazioni possano essere intensificate, un’indagine mai avviata dal momento che fino ad ora non si sospettava né ipotizzava la presenza di questi composti.