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Intervista a Maurizio Lunetta, Direttore del Consorzio di Tutela Vini Etna Doc

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Quanto è importante il confronto tra le esperienze dei diversi territori vulcanici vocati alla viticoltura e quali sono le strategie percorribili per sostenerne la crescita? Ne abbiamo parlato in un’intervista con Maurizio Lunetta, Direttore del Consorzio di Tutela Vini Etna Doc, in occasione di Eruzioni del Gusto.

Direttore Lunetta siamo alla sesta edizione di Eruzioni del Gusto e il Consorzio di Tutela Vini Etna Doc è presente da ormai tre anni? Come nasce questo sodalizio? 
Abbiamo accolto da subito e con entusiasmo l’idea di Carmine Maione di parlare di Etna e Vesuvio insieme, di avvicinare questi due territori, due realtà così simili ma al tempo stesso così diverse, con storie anche lontane ma con tanti punti di contatto quando si parla di produzioni vitivinicole. Entrano in gioco le caratteristiche dei suoli, delle condizioni pedoclimatiche e l’attitudine dei viticoltori a resistere, a portare avanti le coltivazioni in modo sicuramente distintivo, aspetti sui quali ci si confronta in modo costruttivo. 

Nell’incontro con realtà che condividono il filo conduttore della vulcanicità quali sono gli stimoli emergenti?
Intanto mi convinco sempre più che dobbiamo dedicare maggiore spazio a studio e ricerca. Sappiamo parlare della differenziazione dei vini vulcanici rispetto ad altri ma abbiamo meno argomentazioni sui reali motivi di queste differenze. Produttori e consorzi hanno bisogno di strumenti per comunicare meglio la “diversità”. 
Per esempio parlare di suolo vulcanico è troppo generico. Sull’Etna abbiamo suoli disgregati dalla lava, altri derivati dalla caduta delle ceneri che formano strati, banchi di sabbia silicea vitrea completamente diversi, quindi dobbiamo spingere l’approfondimento di alcune tematiche e migliorare la capacità di promuovere e comunicare questo tipo di vino.

Negli ultimi anni è emersa la grande capacità del territorio vitivinicolo etneo di valorizzare il patrimonio naturale, in particolare il vulcano, come brand. Quali sono le motivazioni di questo successo?
Vendiamo il territorio prima del vino, con una comunicazione essenziale che si racchiude in una sola parola: Etna. Un errore che secondo me molte altre realtà fanno è focalizzarsi solo sul vino, sulle varietà, sulle caratteristiche. Noi parliamo di Etna prima di tutto, dopodiché se ci chiedono com’è fatto il vino etneo iniziamo a citare il Nerello Mascalese, il Carricante, insomma le varietà autoctone. Se vogliamo continuare a scendere in profondità parliamo prima dei quattro versanti del vulcano con le diverse peculiarità pedoclimatiche, e poi delle Contrade, le 133 unità geografiche aggiuntive in cui abbiamo suddiviso il territorio dell’Etna. 
Credo quindi che il primo motivo di successo della comunicazione sia nella semplificazione, che non significa banalizzazione ma partire dall’alto per andare più in profondità quando ce n’è necessità. È una linea scelta dal Consorzio di Tutela Vini Etna DOC alla quale tengo molto e che sta dando i suoi frutti. 

Avete aperto la strada ad una grande visibilità del territorio, quali sono gli interventi che il Consorzio Etna DOC ha messo in campo per sostenere e tutelare la crescita?
A giugno scorso il Consorzio ha scelto di sostenere la crescita bloccando i diritti di iscrizione di nuovi vigneti ad Etna DOC, unica denominazione dalla Toscana in giù ad aver intrapreso questo percorso. 
Per quanto gli si riconosca un ruolo centrale nella rinascita del territorio, gli investitori esterni ad esso non potranno più continuare ad acquisire suoli senza limiti e impiantare vigneti ovunque. 
La Doc Etna per il prossimo triennio potrà crescere al massimo di 50 ettari l’anno e ogni azienda potrà fare domanda per non più di un ettaro e, qualora le richieste superassero il plafond annuale, la superficie autorizzata alle singole aziende sarà ridotta proporzionalmente. 
Vogliamo “crescere non crescendo”, assecondando il mercato, senza però ingolfarlo troppo in un momento che riteniamo di grande prestigio per la nostra denominazione. 
Se continuassimo a raddoppiare l’estensione dei vigneti come accaduto negli ultimi dieci anni chiaramente ne perderemmo in valore.
Anche in territori come quelli di Barolo e Brunello quindici anni fa si è imboccata la stessa strada. 

Ovviamente il risultato non si è raggiunto senza difficoltà, gli interessi in gioco sono fortissimi, un terreno all’interno della doc Etna inizia a valere 200mila euro l’ettaro, fuori anche 30, 35mila euro. 

Come sta cambiando il territorio in virtù di questo nuovo corso, quali riflessi ha portato questa notorietà e il riposizionamento delle vostre produzioni?
I giovani stanno tornando a coltivare i terreni ereditati dai nonni ma abbandonati dai genitori. Oggi il 20% del corpo produttivo della DOC Etna è rappresentato da loro, il doppio rispetto alla media italiana. Questo è ovviamente il risultato della metamorfosi di un territorio che è diventato economicamente più attrattivo. Si ritorna a riprendere vecchi vigneti e palmenti ed è una ricostruzione che non vuole replicare l’effetto Langhe dove tutto è ormai destinato alla vite, ma la rivalutazione di un territorio che mantiene integra la sua eterogeneità, dove trovi, oltre alla lava, uliveti, noccioleti, castagneti e vigne. 

Consorzio di Tutela Vini Etna Doc
Prima denominazione ad essere istituita in Sicilia nel 1968 e tra le prime in Italia, l’Etna Doc si estende su un vigneto di 1.500 ettari racchiusi in 20 comuni e 133 contrade. Il Consorzio di tutela riunisce 220 aziende (90% del comparto produttivo) con una produzione media annua di 6 milioni di bottiglie, di cui il 60% destinato all’export (mercati principali Stati Uniti, Canada, Svizzera e Regno Unito).

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